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contro di quel monarca. Egli era adunque alla testa d’una numerosa armata sulle nostre terre. Si propose in Milano la questione se dovevamo tenerci alla sola difesa, muniti entro della città; ovvero se saremmo usciti ad affrontare il nemico. E quest’ultimo partito, proposto da Ottone da Mandello, prevalse. La condizione dell’imperatore, se di molto era migliore della nostra, per il numero de’ suoi armati, essa però era assai attraversata dalle opinioni religiose. Preti, frati combattevano contro di lui, e confortavano ognuno ad offenderlo; e come l’imperatore stesso, scrivendone al re d’Inghilterra, dice: Ordinis fratrum minorum, qui non solum accincti gladiis, et galeis muniti, falsas militum imagines ostendebant, verum etiam praedicatione insistentes, Mediolanenses, et alios, quicumque nostram, et nostrorum personam offendebant, a peccatis omnis absolvebant. Uscimmo incontro a lui, e ci accampammo a Camporgnano. Le truppe avanzate imperiali si accostarono, e furono fatte in pezzi da’ nostri, e il rimanente condotto a Milano. Si riconobbe che costoro erano Saraceni. Allora l’imperatore si inoltrò, e pose il campo col grosso del suo esercito a Cassino Scanasio, d’onde l’obbligammo a sloggiare ben presto, coll’aver rotti alcuni sostegni ed inondato il di lui campo. Portossi l’imperatore a nuovo campo fra Besate e Casorate; ed ivi pensarono i Milanesi a restituire a Federico II il trattamento sofferto due anni prima a Cortenova. Mancava un fiume da porgli alle spalle. Scavammo un profondo canale fra il nostro campo ed il nemico, e vi facemmo sboccare l’acqua del Naviglio grande