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momentanea che si fece fra i partiti nel 1205, si stabilì che: Nulli bonis suis interdicatur, nisi causa cognita et probata communi, potestati mediolani, vel rectoribus communitatis, ut leges desiderant; legge la quale supponeva un disordine universale ed essenzialissimo. Il potere del podestà era, siccome dissi, assoluto e dispotico. Egli faceva leggi, e le faceva eseguire: Dico, jubeo et statuo perpetuo firmiter observari, sono le frasi che adoperavano i podestà, e ne abbiamo la memoria in una legge di Oberto da Vialta, bolognese, podestà di Milano nel 1214.
Questo vizio interno (che, accendendo una guerra intestina, sbandiva realmente la forma repubblicana dalla città, e la costringeva a rifugiarsi nel dispotismo per l’impossibilità di reggersi) nasceva a mio credere per colpa de’ nobili. Il dominare, l’innalzarci sopra i nostri fratelli, il dimenticare persino che lo sono, è cosa naturalissima all’uomo; ma la plebe milanese non poteva sopportare l’orgoglio de’ nobili, nè i valvassori quello de’ capitani. Sappiamo quante inquietudini provò la repubblica di Roma per l’impazienza del popolo, e quante guerre dovette intraprendere per allontanare la plebe dalla città. I nobili di Roma avevano nelle loro mani gli auguri, gli auspici e tutte le forze del culto religioso; eppure il partito popolare finalmente scoppiò, rovesciò la repubblica, innalzò Cesare e creò i primi imperatori, i quali, colla rovina de’ nobili, pagavano le largizioni e gli spettacoli per favorire la plebe. Il povero ed il plebeo d’Italia sentono di avere men potere che non ha il ricco ed il nobile; ma persuasi che gli uomini sono d’una specie sola, si considerano