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era abolita e sconosciuta in ogni altra parte. Non è punto verisimile che i Romani spedissero incontro a Federico (che veniva alla testa d’un’armata, e che aveva già fatto tremare la Lombardia) i loro legati per esigere da lui quasi un giuramento di fedeltà, e osassero dirgli: Tu eri forestiere e ti abbiamo fatto nostro; eri un viaggiatore oltramontano, e ti abbiamo fatto principe: giura che spargerai sino all’ultima stilla il tuo sangue per mantenere la nostra repubblica. Nemmeno è verisimile il lungo discorso che fa ripetere a Federico; il quale, per quanto si travede da altri luoghi, nemmeno intendeva il latino, ed è assai probabile che conseguentemente ignorasse la storia degli Ottoni, di Carlo Magno e degli antichi Romani, della quale nel discorso si vuole mostrarlo assai istrutto. Merita pure qualche osservazione il vedere che il vescovo di Frisinga, colpito dalla morte l’anno 1158, non potè stendere i fasti sino alla distruzione di Milano; e il continuatore di esso, canonico Radevico, terminò di scrivere all’anno 1160; e il canonico di Praga Vincenzo all’anno 1167 terminò la sua cronaca, cioè sino al punto da cui cominciò il rovescio della fortuna di Federico; e così alla posterità restarono le felici sue imprese, e da pochi altri e meno chiari cronisti appena è passata la notizia dell’umiliazione alla quale venne poscia ridotto.
Prima di abbandonare l’argomento dell’imperatore Federico, io ricorderò alcuni tratti della di lui maniera di operare; acciò si formi un giudizio, e della umanità sua e de’ principii della sua virtù; e questi li prenderò tutti da autori tedeschi e parziali suoi. Il primo documento sarà la lettera con cui l’imperatore istesso rende informato il vescovo di Frisinga