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di due nazioni, cioè gli uomini per loro mestiere consacrati a trovare la verità, non sieno per anco d’accordo! Credo che non sia tanto difficile il rinvenirne la cagione. Primieramente, allorchè viveva Federico I, tutta la Germania lo temeva sommamente; e sino dal primo viaggio ch’ei fece nell’Italia, corse la voce delle devastazioni che aveva commesse, e ciascuno de’ Tedeschi, al di lui ritorno, gli andò incontro con sommissione, e a gara cercava di procurarselo placato. Ottone Frisingense, suo zio, ce ne assicura: Tantus enim in eos qui remanserant, ob ipsius gestorum magnificentiam, invaserat metus, ut omnes ultro venirent, et quilibet familiaritatis ejus gratiam obsequio contenderet invenire. Quantum enim Italis timorem incusserat factorum ejus memoria, ex legatis Veronensium perpendi potest. Questo timore che sempre più si andò accrescendo, e pe’ fatti che si intesero dall’Italia, e per gli esempi che più da vicino osservò la Germania, quando postosi in animo l’imperatore di comandare nella Polonia, vi entrò, e, territorium Episcopii quod vocatur Uratislavia, transcurrens, in Episcopatum Posnaniensem, totamque terram etiam ipse igne et gladio depopulatus est, come ci dice il Radevico, che scriveva que’ fatti, siccome giova il ricordare, per comando dell’imperatore medesimo. Questo timore, dico io, doveva in buona parte reggere lo stile de’ cronisti che allora registravano i fasti di quell’augusto. Parmi che il vescovo di Frisinga medesimo, cronista dell’imperatore e suo nipote, me ne dia un cenno dove scrive: Durum siquidem est scriptoris animum, tanquam