Pagina:Storia di Milano I.djvu/270

vogliasi perseverare; e irremediabile talvolta, se alla diminuzione si creda di supplirvi con nuovi accrescimenti. Ne’ tempi dei quali ragiono non erano la geometria e la cognizione del cielo giunte a segno da potersi formare una carta esatta d’un paese; conseguentemente non si poteva ripartire sulle terre il fondo principale del tributo. Egli è vero che nel Milanese il fondo principale della riproduzione è la terra ferace sulla quale siamo nati, ma senza un’esatta misura de’ campi non si poteva collocare su di quella il tributo. A questa difficoltà si aggiugneva un’altra di opinione, chè credevasi ingiusta cosa lo stabilire un carico uniforme e permanente sopra una ricchezza che è variabile colla diversità delle annate. Perciò anticamente, piuttosto si volle ogni anno esporsi alla spesa e all’arbitrio d’un generale catastro dei frutti raccolti, anzi che mancare all’apparente giustizia distributiva. L’erudito circospettissimo nostro conte Giulini asserisce di non avere osservato mai alcun carico anticamente imposto su i fondi; ma bensì ai frutti, ovvero alle persone. Forse l’antichissimo carico dell’Imbottato, abolito dalla beneficentissima Sovrana l’anno 1780, era una tradizione discesa sino da que’ secoli rimoti. Pagavansi antichissimamente da alcune terre delle tasse al sovrano. La terra di Limonta, prima del secolo decimo, pagava lire tre e mezza in denaro, dodici staia di grano, trenta libbre di cacio, trenta paia di polli, trecento uova e cento libbre di ferro, e con ciò aveva pagato il suo annuo tributo. Alcune tasse personali s’imponevano all’occasione de’ bisogni dello Stato: e questa, ne’ tempi