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Federico espugnare. Giunta la primavera del 1175 gli alleati formarono un esercito combinato, il quale si radunò presso Piacenza; d’onde marciò verso Alessandria per obbligare Federico a togliervi l’assedio. L’imperatore non si credette forte abbastanza per resister coll’armi: sciolse Alessandria, e cominciò a parlare di pace. L’esito poi fece conoscere ch’ei con ciò non cercava che d’acquistar tempo sin che gli giugnessero nuovi rinforzi, ch’egli aspettava dalla Germania. L’imperatore propose di abbandonare all’arbitramento di alcune persone saggie le di lui ragioni, salvi i diritti dell’Imperio; e le città confederate accettarono la proposizione, salvo la loro libertà e quella della Chiesa romana. Si passò all’elezione degli àrbitri, e l’imperatore nominò Filippo arcivescovo di Colonia, Guglielmo da Piozasca, torinese, e Rainerio da San Nazaro, pavese. Le città collegate nominarono Girardo Pisto, milanese, Alberto Gambara, bresciano, e Gezone da Verona.

Si cominciò a trattare per questa pace fra gli àrbitri. Ma prima di esporre il soggetto del loro parlamento, conviene che io accenni l’opinione di alcuni cronisti tedeschi, i quali pretendono che l’imperatore siasi indotto a trattar di pace per le suppliche fattegli dalle città di Lombardia: anzi il citato monaco Gottofredo ci vuol far credere che, quando l’armata degli alleati si portò verso Alessandria, sebbene fosse un esercito forte, alla vista delle truppe imperiali si ponesse ad implorare perdono, e che, sguainando le spade, ciascuno se le collocasse sul capo per dar segno che s’impetrava clemenza. La storia tutta smentisce un tal racconto; nè è mai stato l’uso che per mostrar sommissione, molte città collegate radunino un’armata cospicua, e con tal cerimoniale vadano a cercare