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verbis illectus imperator, luminibus ei permissis, alios coecatos in urbem ab eo reduci praecepit. Nel capitolo antecedente ho riferito quello che il milanese Sire Raul ci lasciò scritto; cioè che l’imperatore Federico, nel blocco di Milano, facesse cavare gli occhi ai prigionieri, e tagliar le mani a chi portava provvisioni nella città. Poteva credersi esagerata quell’accusa; ma questo autore tedesco, che negli altri suoi racconti è sempre parziale a Federico ed animato contro gl’ltaliani, pare che provi tale essere stato pur troppo il modo di guerreggiare dell’imperatore, facendo mutilare i prigionieri di guerra. Io lascerò che i Tedeschi medesimi, che in questo secolo hanno tanti uomini illuminati e sensibili, giudichino se sia quiddam laude dignum quello che fece Federico, perchè fece accecare due soli di que’ disgraziati; e se possa pretendere un posto fra gli uomini grandi quel Cesare, che pronunziava tai sentenze e le faceva eseguire dal carnefice in sua presenza. Il discorso di quel servo non era certamente da ladroncello nè da disertore. Egli parlò come fa un uomo fermo e colto. Assai più verisimile è il racconto che ce ne lasciò il cronografo Siloense: Alexandriam obsidione cinxerunt, civitatem, sicut dicunt, munitissimam, non murorum ambitu, sed positione loci, et vallo incredibiliter magno, un quo vicinum derivaverunt fluvium, viri quoque virtutis in ea plurimi, fortiter ex adverso resistentes, quos imperator non tam cito quam voluit expugnavit, sed multo labore, magnaque suorum caede, interjectis etiam aliquot annis; anzi a dir vero nè tosto nè tardi la potè