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secondo il calcolo del conte Giulini, più che non valgono tredici zecchini ai tempi nostri; tanta era la carestia di ogni cosa, da cui erano i miseri nostri cittadini oppressi. Sire Raul ci descrive: Planctum, et luctum marium, atque mulierum, et maxime infirmorum, et foeminarum de partu, et puerorum egredientium et proprios lares reliquentium. E a dire vero, questo trattamento fatto ai milanesi dall’imperatore Federico non ha, ch’io sappia, molti esempi nella storia. Non ancora erano cessati i freddi dell’inverno, che da noi anche in marzo è durevole. La neve, il ghiaccio non sono cose insolite in Milano in quella stagione. Donne da parto, infermi, vecchi, bambini, costretti a sgombrare e collocarsi a cielo scoperto per ivi mirare la rovina delle loro case! Una popolazione invitata ad abbandonare se stessa alla clemenza di quell’augusto dalle promesse de’ principi, che assicuravano una generosa accoglienza, dopo aver dati ostaggi e deposte le armi, condannata così a penuriare di tutto e soffrire una morte lenta, miseranda, amareggiata dalla baccante vendetta dei nemici, che sotto i loro occhi distruggevano la città infelice, non fanno un’epoca gloriosa per la magnanimità di Federico. Debellare gli arditi e perdonare ai vinti furono le virtù dei Romani; e Federico credette così gloriosa impresa per lui l’avere, non già sottomessa, ma distrutta Milano, che in varii diplomi, che tuttora si conservano, vi pose la data: Post destructionem Mediolani, e ne fece solenni feste in Pavia, ove con nuova pompa sedette incoronato ad un