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per vero papa Alessandro III, che ivi il giorno 24 marzo, che era il giovedì Santo, scomunicò Federico. Vittore scomunicò i Milanesi e i loro fautori. Alessandro scomunicò Federico, l’antipapa e i consoli cremonesi, pavesi, novaresi, vercellesi e lodigiani, aderenti all’imperatore e all’antipapa. Tali erano le occupazioni e gli affari di quegli anni, interrotti da piccoli e giornalieri fatti ostili, che, con un lento macello, affliggevano l’umanità, senza ricompensare in qualche modo il danno con qualche gran mutazione. La guerra è sempre un male atroce, e le società civili si sono instituite al fine di non provarla. Ma s’ella cagiona una gran rivoluzione, perde in certo qual modo la sua atrocità per i beni ch’ella talvolta produce; che se lascia il genere umano come prima, anzi più afflitto di prima, non si può rimirarla senza ribrezzo. (1160) Erano giunti rinforzi all’imperatore Federico, che divisava d’impadronirsi di Milano; e a noi era accaduto il più sciagurato avvenimento, un incendio cioè furiosissimo, che, il giorno 25 agosto 1160, abbruciò quasi tutti i nostri magazzini e quasi la terza parte di Milano. A questa disgrazia dobbiamo attribuire interamente l’umiliazione alla quale venimmo ridotti; e dopo il giorno in cui Uraja distrusse Milano, dobbiamo negli annali nostri ricordare il 25 d’agosto, come il giorno sopra gli altri infausto: poichè ci trovammo da quel momento in faccia di un potentissimo nemico, aiutato dai nostri nemici vicini; tagliata ogni corrispondenza colle città amiche; privi d’ogni speranza di aver pane; e desolate le campagne nostre da ogni parte; per lo che una disperata fame ci costrinse a rinunziare ad ogni difesa.

(1161-1162) Il secondo blocco della città di Milano durò quasi sette