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alle stragi, all’incertezza che da lungo tempo li rendevano infelici, Ma è più facile il vincere che il saper godere della vittoria; ed è più facile il carpire la fortuna, che il convertirla in propria stabile felicità. L’incauta condotta dell’imperatore gettò i semi di molte sciagure funeste ai popoli d’Italia; funeste all’Impero medesimo; perchè, dopo le miserie di una seconda guerra, potè bensì opprimere i malcontenti, ma rovinò il suo Stato, e impresse un tal ribrezzo per la soggezione, che le città giunsero poi a liberarsene interamente, e col fatto si resero indipendenti. Questo errore in politica fu allora tanto più grande, quanto che il sistema feudale somministrava bensì all’imperatore un’armata combinata per una spedizione; ma non gli lasciava mezzo di avere un corpo di truppe costantemente assoldate e acquartierate nell’Italia per mantenersela soggetta.

Nella dieta che tenne l’imperatore in Roncaglia, simulò di essere interamente amico de’ Milanesi, e come dice il canonico di Praga Vincenzo: Mediolanenses in suum vocat consilium, quomodo urbes Italiae sibi fideles habeat quaerit, qui ei dant consilium, quod eos quos per civitates Italiae sibi fideles habet, per suos nuncios, eos sibi suas constituat potestates... quod imperator laudans, usque ad tempus huic rei competens in corde suo recondit. I Milanesi, appoggiati alla fede di un trattato che lasciava loro il governo dei consoli, e l’elezione, soltanto da approvarsi dal sovrano, non sospettarono che un consiglio pronunziato con candore e con impegno di corrispondere alla confidenza di quell’Augusto, dovesse cadere a loro detrimento. Così però avvenne. Il citato canonico era presente in Milano, quando i nunzi dell’imperatore pretesero di creare un podestà, cioè un dispotico