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anime grandi. Le antipatie nazionali sono minute opinioni del volgo. In ogni secolo e presso di ogni nazione le anime nobili sempre furono al disopra della popolare invidia, ingiusta per lo più o fomentata da una meschina politica. Cercano esse indistintamente il vero merito, e si pregiano di onorarlo ovunque lo trovino; mirano la terra come la patria del genere umano, e gli uomini una famiglia, divisa in buoni e malvagi. Un sovrano poi, che è il padre dei suoi popoli, non può avere piccole gelosie di fazione. Federico mancò di politica. Dovevano accorgersi i Lodigiani, i Pavesi, i Cremonesi, i Comaschi e gli altri che l’imperatore non era punto affezionato nè agli Italiani nè ad essi. La guerra fatta ai Milanesi certamente non aveva per oggetto la loro felicità, liberandoli dall’oppressione; ma, profittando delle nostre discordie, cercava di sottometterci. È vero che con una pomposa formalità aveva Federico, il giorno 3 di agosto dello stesso anno 1158, consegnato ai consoli lodigiani in Monteghezzone un vessillo, e data loro la proprietà di quello spazio alla sponda dell’Adda per fabbricarvi, siccome fecero, la nuova città di Lodi; ma l’imperatore con questo dono non perdeva cosa alcuna; e le città alle quali in quella dieta prese tutte le regalìe, per formare a se medesimo un tributo annuo di trentamila marche d’argento, perdevano assai. Più accortamente avrebbe operato quell’Augusto, se, dopo di aver vinto, colla moderazione e colla clemenza si fosse proposto di far amare il suo governo; forse avrebbe lasciato a’ suoi successori un regno fedele e tranquillo, fondato sull’interesse medesimo de’ popoli governati, i quali avrebbero naturalmente preferita la pace sotto di una moderata monarchia, alla turbolenta indipendenza,