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antica obbedienza; trovò degli ostacoli, poichè erano già avvezze a reggersi da sè. Novara, fra le altre, non fu docile, e il re Enrico la incendiò; così fece a varie altre castella e terre. L’infelice Enrico suo padre non adoperò il fuoco per sottomettere i popoli. Questa feroce maniera di guerreggiare mosse le altre città a cercare di guadagnarselo con denaro, con vasi d’oro e d’argento; ma la popolata e nobile città di Milano non gli fece regalo alcuno, nè in verun conto gli badò, come ci attesta il monaco Donizzone, che in quei tempi scriveva le gesta della contessa Matilde con versi assai meschini:
Aurea vasa sibi nec non argentea misit
Plurima cum multis urbs omnis denique nummis:
Nobilis urbs sola Mediolanum populosa
Non servivit ei, nummum neque contulit aeris.
Pareva che allora Milano ergesse già la testa sopra delle altre città del regno italico. Prestarono però i Milanesi assistenza ad Enrico, piuttosto come alleati, che come sudditi; e questa fu di molti armati che lo accompagnarono a Roma per ricevervi la corona imperiale. È noto che Pasquale II, papa, pretese, prima d’incoronarlo, che rinunziasse al diritto di dare l’investitura ai vescovi. Ricusò Enrico di rinunziarvi, e pretese, non meno di quello che aveva fatto suo padre, di conservare questa ragione, posseduta dai precedenti augusti. Insisteva il papa; nacque in Roma una zuffa: i Lombardi, uniti coi Tedeschi, frenarono l’impeto de’ pontificii, a segno che Enrico fece suo prigioniero il papa, lo condusse fuori di Roma, nè gli accordò la libertà, se non quando gli promise con solenne scrittura di lasciargli le investiture