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ne ebbe offesa la mano. Allora dissegli: prete Liprando, mira la tua morte, piegati all’arcivescovo, e salva la vita; e se nol vuoi, vanne colla maledizione di Dio. Il prete rispose a lui: Sathana, retro vade, poi si prostrò a terra, fece il segno della croce, ed entrò fra le cataste ardenti. La fiamma si spaccava avanti di lui, e si riuniva tosto che era passato; passò sopra i carboni, come se fosse arena; due volte recitò in quel passaggio: Deus, in nomine tuo salvum me fac, et in virtute tua libera me, e nella terza volta, alla parola fac, si trovò sano dall’altra parte del fuoco, senza danno alcuno nella persona, o ne’ lini del camice, o nella pianeta. Così il nipote Landolfo ci racconta il fatto.
Questo fatto, riferitoci dal solo Landolfo, e adottato poscia da chi scrisse dopo di lui, ha tanta somiglianza con quello che Desiderio, abate di Monte Cassino, asserisce accaduto in Firenze, che non si potrebbe giudicare quale dei due fosse l’originale e quale la copia; se quello di Toscana non fosse stato collocato quarant’anni prima di questo di Landolfo, che si colloca nell’anno 1103. A Firenze si accusava quel vescovo di simonia: si propose di provarlo colla prova del fuoco; si prepararono due caste lunghe dieci piedi, alte e larghe cinque, distanti appunto un piede e mezzo. Le misure sono le medesime nel numero, sebbene da noi non erano piedi, ma braccia. Ivi passò illeso un monaco Giovanni Albrobandino, che fu poi chiamato Giovanni Igneo: e l’uno e l’altro fatto si dice accaduto in quaresima. Costretto a rinunziare alla fede di uno storico contemporaneo, ovvero al buon senso, io abbjurerò la prima: nè crederò che la divinità abbia operato un portento per approvare una temerità solennemente riprovata