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accostando all’età di regnare; poteva quel principe, con una discesa in Italia, distruggere il frutto del sangue sparso, dei saccheggi, dei tumulti. Conveniva perciò cambiare oggetto, e tentare una stabile sommissione per altro mezzo. Sin che sulla sede arcivescovile vi stava Guidone, eletto da Enrico II, offeso da Roma per la forzata umiliazione, non era sperabile che il partito d’Ildebrando colla forza tenesse costantemente depresso il ceto dei nostri ecclesiastici. Era necessario il collocare sulla sede metropolitana un arcivescovo, il quale dovesse pienamente questo beneficio a Roma, e le fosse suddito per animo e per riconoscenza. Tale appunto fu il progetto col quale Erlembaldo, che nuovamente si era portato a Roma, rientrò nella patria l’anno 1068. Questa proposizione, che tendeva a deporre l’arcivescovo Guidone, cominciò a serpeggiare. Guidone già da ventiquattro anni reggeva la chiesa milanese: stanco di vivere fra torbidi e pericoli continui, indebolito dagli anni, bramoso di godere il restante della vita in pace, pensò di rinunziare la dignità, prima che la violenza del partito ve lo costringesse. Trascelse Gotofredo, cardinale ordinario della chiesa ambrosiana, e a lui rinunziò l’arcivescovato. Non era questi il soggetto che piacesse a Erlembaldo. Quindi col ferro, col fuoco, colla devastazione de’ campi, colle nuove scomuniche di Roma si oppose al nuovo arcivescovo Gotofredo, il quale non potè conseguire mai la possessione nè della carica, nè delle entrate. Guidone pensò allora a ripigliare la dimessa dignità, poichè non si voleva che Gotofredo ne fosse rivestito. Guidone credette alla fede di Erlembaldo; si collegò incautamente con lui, e venne infatti da lui accompagnato sino a Milano. Ma quivi lo tradì e lo rinchiuse in un monastero,