Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
quasi tutto ciò che l’era stato rapito. Nè questo avvenimento rallentò punto l’ardore di Arialdo; il quale poco dopo, vedendo nella chiesa un sacerdote che cominciava la messa, e sapendosi che aveva moglie, si credè lecito di strappargli i paramenti d’indosso, e scacciarlo dall’altare, per lo che il popolo, fremendo, se gli avventò, e fortunatamente ottenne d’essere ascoltato, e con tal mezzo salvarsi. Di questi fatti ne era continuamente informato il cardinale Ildebrando, che era l’arbitro sotto un papa creato da lui, e da Roma riceveva Erlembaldo sæpe numero legationes, e lettere apostolicis praenotatas sigillis, come ci assicura Arnolfo. Ma questi due contrari moti del popolo nuovamente cagionarono alcuni mesi di calma; nel qual tempo Erlembaldo portossi a Roma.
(1066) Il ritorno di Erlembaldo da Roma portò la fermentazione all’ultimo periodo. Ciò avvenne l’anno 1066; quando, giunto in Milano, ei presentò all’arcivescovo Guidone le bolle della scomunica pronunciata dal papa. L’arcivescovo colse l’opportunità del vicino giorno solenne della Pentecoste, e poichè radunato fu gran numero di gente nella chiesa, vi comparve l’arcivescovo colle bolle in mano; e con esse riscaldò il popolo animandolo a non soffrire l’ingiuria che si faceva alla chiesa ambrosiana. Il tumulto scoppiò nel tempio del Dio della mansuetudine. Si venne ad una zuffa ai piedi dell’altare. Arialdo, che era nella chiesa, venne assalito, percosso, e rimase a terra creduto morto. L’arcivescovo dovette soffrire delle violenze, e la scena terminò colla sentenza d’interdetto che l’arcivescovo