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Non poteva il cardinale Ildebrando, motore, siccome dissi, di questa rivoluzione, essere contento della sentenza proferita dal concilio di Fontaneto; per cui presso il popolo veniva screditato il partito contrario agli ecclesiastici e confermata la loro disciplina. Il fine era di sotto mettere alla giurisdizione di Roma la chiesa milanese: mezzo unico forse, come accennai, per impedire le elezioni simoniache e collocare prelati migliori al reggimento della Chiesa, alla quale non era più possibile lo restituire l’antica libertà, toltale dal potere dei re. Ildebrando istesso venne a Milano, e condusse con seco il vescovo di Lucca Anselmo da Baggio, primo autore della novità. L’arrivo de’ due legati, che opravano in nome del sommo pontefice Stefano X, risvegliò più che mai le fazioni. La discordia era cresciuta a segno ch’era diventata guerra civile, e sì da un partito che dall’altro le fazioni insieme crudelmente combattevano: i legati, temendo il furore del popolo, adunati di nascoso quanti cittadini potettero, dichiararono simoniaco Guidone arcivescovo, e detestabili tutte le sue operazioni; così il conte Giulini: al che aggiugne questo pio e cauto scrittore che lo storico Landolfo Seniore, che ci narra il fatto, essendo nemico de’ legati, è sospetto di parzialità. Si dee credere che la loro condotta sarà stata molto più regolare di quello che l’appassionato storico non la dipinga; e che non saranno giunti ad una sì rigorosa sentenza se non dopo un maturo esame, e dopo aver perduta ogni speranza di ridurre l’arcivescovo a qualche onesto accomodamento. L’animosità di deprimere la chiesa ambrosiana era allora tale in Roma, che nemmeno