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legale, movendo la plebe a tumulto, profanando l’asilo del sacro tempio, e scacciandone i ministri: cose tutte che non mi paion vere. Ridotto adunque lo scandalo a questo eccesso, dopo di aver sin da principio adoperati tutti i mezzi possibili per guadagnarsi Arialdo e Landolfo, Guidone arcivescovo doveva ricorrere al mezzo che i sacri canoni proponevano, cioè alla convocazione d’un concilio in cui, radunati i vescovi suffraganei ed ascoltate le ragioni dell’una e dell’altra parte, si decidesse la questione, si restituisse la pace alla Chiesa, e il popolo ritornasse alla riverenza de’ pastori. Così appunto fece l’arcivescovo. Ma siccome il furore dei partiti rendeva troppo pericoloso il soggiorno di Milano, venne radunato il sinodo in Fontaneto, luogo del Novarese. Furono avvisati Arialdo e Landolfo di comparire al concilio, ed ivi esporre la loro dottrina e le querele contro del clero. Ma nè Arialdo nè Landolfo vollero presentarvisi, e quindi vennero da quel sinodo scomunicati. Questa scomunica sconcertò i disegni di Arialdo e del compagno Landolfo. La storia c’insegna quanto obbrobriosa e precaria fosse in que’ tempi l’esistenza di quell’infelice sul quale era stato pronunziato l’anatema. Arialdo perciò abbandonò Milano e portossi a Roma nel 1057, ove dal sommo pontefice Stefano X venne accolto con molta onorificenza. Landolfo aveva presa la strada medesima, e le insidie che trovò nelle vicinanze di Piacenza fecero che ritornasse ferito in Milano. Allora sembrava ritornata la quiete nella città.