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il concubinato, nè generalmente erano accusati di questo; e nemmeno li chiamerò incontinenti, eretici, scismatici, nicolaiti, voci adoperate per un male inteso zelo, poichè nessun rimprovero venne loro fatto sul loro dogma. La questione è stata unicamente per la disciplina del celibato, che da noi non si credeva una condizione essenziale per il sacerdozio. Posto così lo stato della questione nel suo vero aspetto, vediamo ora per quai mezzi Ildebrando abbia incominciata in Milano la rivoluzione che si era prefissa.
Già nell’anno 1021, siccome dissi, erasi da Benedetto VIII, nel concilio di Pavia, coll’autorità anche del re Enrico, fatta la legge che obbligava al celibato i sacerdoti. Anselmo da Baggio, ordinario cardinale della santa chiesa milanese, uomo di merito e di nascita distinta, e che godeva in Milano, sua patria, moltissima considerazione, fu il primo che cominciasse da noi a disapprovare il matrimonio degli ecclesiastici. Sappiamo che gli ecclesiastici erano del partito de’ nobili, e nobili essi medesimi comunemente. I discorsi di Anselmo stavano per cagionare dei torbidi nella città, dove le inimicizie fra i nobili e i plebei erano sopite, piuttosto che spente; e i popolari, prontissimi a cogliere l’occasione di umiliare gli ottimati. L’arcivescovo Guidone si adoperò in modo che l’imperatore Enrico II creasse Anselmo vescovo di Lucca; e per tal mezzo (che nelle circostanze era, se non il solo, almeno il più saggio e il più mite) credette di avere allontanato il pericolo di un fermento nella città. Anselmo da Baggio poi fu sempre ligio d’Ildebrando; con esso venne in Milano, siccome