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in equo vel cum curru, aut pedibus, dabat telonario archiepiscopi, immo innumerabilibus telonarii scensum, et archiepiscopus tenebatur custodiri facere passus, et omnibus damnificatis intra territorium restituere de suo tantum quantum damna fuissent aestimata1. Da queste parole molte cognizioni si ricavano. Primieramente il sovrano è sempre stato considerato il re d’Italia o l’imperatore, e da lui, o per tacita o per espressa concessione, doveva provenire ogni diritto pubblico per essere considerato legittimo. L’arcivescovo realmente non è stato mai sovrano di Milano, e mi sembra una favola evidente la pretesa donazione che si asserisce fatta dal re Lotario nel 949 della zecca di Milano all’arcivescovo; giacchè due anni dopo quest’epoca le monete di Milano portarono il nome di Ottone, e dipoi degli Enrici, dei Federici, dei Lodovici, indi dei Visconti e degli Sforza, non mai ebbero il nome di verun arcivescovo trattone quello dell’arcivescovo Giovanni Visconti, che fu successore di Lucchino nella signoria di Milano, e che la dominò per titolo ereditario di sua famiglia, e non per la dignità ecclesiastica. Questa supposta donazione della Zecca ha per appoggio una bolla di Alessandro III sommo pontefice, il quale poteva essersi ingannato nel suo fatto, e nella quale si considera come legittimo arcivescovo Manasse, sebbene tale non fosse. Questa bolla fors’anco è stata composta ne’ tempi posteriori per altri fini, senza che il papa l’abbia spedita giammai. L’arcivescovo adunque riscuoteva per concessione del sovrano il tributo, e doveva l’arcivescovo istesso tenere difeso il contado, e risarcire del proprio i

  1. Fiamma, Chronic. Mediolan. cap 227.