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capo quarto | 113 |
gevaper subito rinvenirlo; che vicino al carroccio si portassero i feriti, sicuri di trovare ivi ogni soccorso, lontani da ogni pericolo; che dal carroccio si diramassero gli ordini per mezzo di segnali con somma rapidità; che ivi si custodisse quello che eravi di prezioso; e che gli occhi de’ combattenti, di tempo in tempo rivolti a quel vessillo, conoscessero quali azioni ad essi comandava il generale, e quale fosse il luogo più importante di ogni altro da custodirsi. Nella maniera di guerreggiare dei tempi nostri riuscirebbe inutile una tal macchina, ben presto rovesciata dall’artiglieria, che ridurrebbe quel contorno più d’ogni altro pericoloso; il fumo impedirebbe spesse volte che quello stendardo fosse visibile: ma prima dell’invenzione della polvere, il carroccio inventato da Ariberto certamente fu con accortezza immaginato; e perciò anche le altre città della Lombardia, quando, coll’esempio de’ Milanesi, acquistarono l’indipendenza e si ressero col loro municipale governo, adottarono ciascheduna il proprio gran vessillo, ossia carroccio. Così facilmente intendiamo come la perdita del carroccio fosse un avvenimento che funestasse una città; non già per un’idea di Palladio, o per una vana opinione d’onore soltanto; ma perchè la perdita del carroccio era prova di una totale sconfitta, al segno di non aver potuto preservare quello spazio che sommamente era cura di ciascuno il difendere.
La riconciliazione fra i nobili e i plebei era stata momentanea; e durava tutt’ora, come dappoi continuò, lo spirito di partito. Acciocchè il governo degli ottimati sia fermo, conviene che la costituzione ponga una distanza grande fra il ceto dei pochi, presso i quali sta il comando, e il vasto ceto