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capo quarto | 111 |
Milano, tentando incessantemente i nobili, o per assedio o per sorpresa, di rientrarvi; e sempre respinti colla loro peggio. Vi volle un giusto timore che il re Enrico approfittasse di questa discordia, per riunire almeno in apparenza gli animi e calmare i partiti. L’arcivescovo Ariberto, nel 1045, finì la sua gloriosa carriera. Mentre egli era ammalato e vicino a morte, Uberto fedele suo milite, mostravasi afflitto, e l’Arcivescovo placidamente lo consolò, dicendogli: Io vado sicuro ai piedi di Sant’Ambrogio, tuo e mio padre. - Landolfo seniore ci descrive la religiosa pietà del nostro Ariberto: Convocatis sacerdotibus et diaconibus, summa cum devotione omnium peccatorum poenitentia accepta, atque confessione coram omnibus facta, atque absolutione a sacerdotibus per impositionem manuum, Spiritu Sancto cooperante, donata, sanctam Eucharistiam humiliter ac devote suscepit1; e poco dopo morì; uomo che nel carattere ebbe molta grandezza; buon soldato, buon principe; aveva i costumi e la religione de’ suoi tempi; egli nacque opportunamente per la sua gloria, e per rianimare la sua patria, che dall’epoca sua può contare il vero suo risorgimento.
L’arcivescovo Ariberto, le di cui armi portarono la vittoria oltre le Alpi, e seppero fare insuperabile resistenza all’Imperatore, fu quello che inventò l’uso di condurre nell’armata il carroccio, nome conosciutissimo, sebbene poco ne sia conosciuto l’oggetto. I nostri scrittori ci rappresentano questo carroccio come una superstizione, ovvero come una barbara insegna. Io credo che piuttosto debba riguardarsi come una invenzione militare assai giudiziosa, posta la maniera di com-
- ↑ Landulph. Sen. lib. II, cap. 32.