religioso zelo,ha introdotta la persecuzione, la violenza, i roghi, i quali non hanno distrutto giammai il fanatismo; ma attizzandolo anzi, l’hanno alimentato, e resi irreconciliabili gli eterodossi. La umanità, la dolce insinuazione, la pazienza disarmano gli avversari, e li richiamano a venerare il vero Dio, con mansuetudine, con pace, colla benevolenza e coll’esercizio della virtù. Io mi sono prefisso di non considerare Ariberto come arcivescovo. Come uomo pubblico, cittadino, soldato politico, egli ha saputo rendersi padrone di quella rocca, il che in vano altri aveva tentato; e il suo cuore ricusò di approvare l’atto ingiusto e crudele del supplizio. Vi è molto anche da dubitare se veramente quegl’infelici fossero in errore nel dogma. Mi pare incredibile l’errore di fisica sulla generazione. Mi sembra assurdo l’altro errore loro imputato, cioè che fosse loro opinione dannarsi ciascuno se non moriva fra i tormenti. Ripugna poi affatto al buon senso il costume che volevasi loro attribuire, cioè che violentemente uccidessero i loro confratelli allorchè gravemente erano ammalati. Se ci fosse rimasto qualche scritto in cui alcuno di questi infelici avesse rappresentata la causa propria, saremmo un po’ meglio informati della verità. Forse erano costoro cristiani più pii e segregati dalla depravazione generale, e per ciò perseguitati. San Pietro Damiano, che viveva in quel secolo, così scriveva: ad tantam faecem quotidie semitipso deterior mundus devolvitur, ut non solum cujuslibet sive saecularis sive ecclesiasticae conditionis ordo a statu suo collapsus jaceat, sed etiam ipsa monastica disciplina, solo tenus, ut ita dixerim, reclinata, ab assueta illa altitudinis suae perfectione languescat. Periit pudor, honestas evanuit, religio cecidit, et veluti facto agmine, omnium