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capo quarto 105

del castello; e l’Arcivescovo tentò di convertirli col mezzo di ecclesiastiche e pie persone; ma ciò non riuscendo, i Primati della nostra città temendo, dice il conte Giulini1, che non si spargesse più largamente il veleno, alzata da una parte una croce e dall’altra acceso un gran fuoco, fecero venire tutti gli eretici, e loro proposero l’inevitabil partito, o di gettarsi a piè della croce, e confessando i loro errori abbracciare la dottrina cattolica, o di gettarsi nelle fiamme. Ne seguì che alcuni si appigliarono al primo progetto; ma gli altri, ch’erano la maggior parte, copertisi il volto colle mani, corsero nel fuoco, da cui furono miseramente consumati; al che aggiunge Landolfo il vecchio, che un tal fatto accadesse per volere de' primati: Heriberto nolente. In que' tempi il glorioso nostro Sant’Ambrogio non si dipingeva punto in atto feroce con uno staffile nella mano; nè si credeva che avesse contrastato al sovrano, nè perseguitato gli eretici seguaci di Ario. Si sapeva che il santo Vescovo aveva pazientemente sofferta la persecuzione del Principe; e aveva tollerati con carità e mansuetudine i suoi fratelli che traviavano nella fede; e a Dio padrone di tutto supplice offriva le sue preghiere, acciocchè misericordiosamente li richiamasse alla strada della vita, senza adoperare egli altre armi o suggestioni, che la parola che persuade, l’esempio che persuade ancor più, e la fraterna compassionevole affezione, colla quale si distinse quel beato nostro Pastore. L’orgogliosa ambizione di sovraneggiare persino le idee, coprendosi col manto d’un

  1. Tomo III, pag. 222. Riferisce le parole d'un autore dei nostri giorni anzi che quelle di Landolfo contemporaneo perché il lettore s'appaghi d'essere il fatto non controverso, ma accordato da un illustre erudito e da un Guelfo.