Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
Arnolfo, nostro milanese, scrittore di quel secolo1; dal che vedesi abbastanza il carattere deciso e intraprendente di Ariberto, che non si curava de' pari; e posto che doveva avere un re da riconoscere per suo sovrano, voleva averlo ei solo in qualche modo trascelto, e che a lui dovesse la sua corona. Wippone, cappellano del re Corrado scrive questo arrivo dell’arcivescovo in Costanza, ove trovavasi il re Corrado, al quale dice che Ariberto promise che, tosto che fosse venuto in Italia, l’avrebbe acclamato e incoronato re: Ipse eum reciperet, et cum omnibus suis ad dominum et regem publice laudaret, statimque coronaret il che gli promise con giuramento e col pegno di ostaggi. Questo produsse che il nuovo re concedette all’arcivescovo: praeter dona quamplurima, Laudensem Episcopatum; ut sicut consacraverat, similiter investiret Episcopum; e con ciò oltre il dritto, che era del Metropolitano, di consacrare il vescovo suffraganeo, venne donato ad Ariberto il dritto di investitura, ossia di collocare al possesso della dignità e dei beni il nuovo vescovo: dritto che in que’ tempi pretendevasi dal sovrano, non come un semplice placet, ma come una investitura; la quale cagionò poi gravi sconcerti e guerre fatali fra il sacerdozio e l’Impero. Forse questo dono fatto al nostro arcivescovo, che in qualche modo gli dava la sovranità sopra di Lodi, fu cagione funesta dell’abuso che i Milanesi fecero della loro potenza ad esterminio de’ Lodigiani, da che ne vennero fatali conseguenze per noi medesimi. Che che ne sia, l’arcivescovo, al dire del citato Arnolfo, rediens securus in omnibus, totam suis legationibus evertit Italiam, alios re,
- ↑ Rer.Italic.Scriptor.tomoIV,pag. 14.