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gli studj dei nostri pittori, e scultori; e come è stato principalmente osservato nelle case sepolte dal vesuvio. Ce ne persuadono anche varj bassi-rilievi, e qualche pittura d’Ercolano1. Le dette case non aveano finestre, che mettessero sulla strada2. Questa maniera di fabbricare non era per verità la più propria per contentare la curiosità, e gli oziosi, ma somministrava un miglior lume agli appartamenti, vale a dire un lume dall’alto. Possiamo argomentare quanto conferisca un tal lume alla bellezza, perocchè le donzelle romane, che sono siate promesse in matrimonio, si fanno vedere, come suol dirsi, in pubblico per la prima volta ai loro sposi nella Rotonda. Nelle camere con finestre poste in alto si stava riparato dall’aria, e dal vento; e perciò gli antichi tiravano a queste aperture una semplice cortina3. Non erano guarnite con ferrate; ma in vece vi si poneva una specie di cancelli gettati di metallo, detti cla-
thra, |
- ↑ Pitt. d’Ercol. Tom. I. pag. 171. 228., Virgil. vatic. n. 29.
- ↑ Si vedano le lettere dell’Autore qui appresso art. iv., ove egli su questo punto si spiega meglio, come anche intorno all’altezza delle finestre; e ciò, che vi noterò io.
- ↑ Digest. lib. 33. tic 6. l. Quæsitum est 12. §. Si domus 16. [ Ulpiano non dice tal cosa in questa legge tanto dibattuta anche dagl’interpreti, come nota Salmuth al Pancirollo Rer. memor. lib. 1. tit. 6. pag. 21. seg. Pare che al più voglia dire, se parla delle cortine, o tendine, che vogliamo chiamarle, alle finestre, crome è più probabile stante che dice, che si usavano in casa, e attesa la differenza, che fa di altre specie di tende, o tele, a modo forse delle incerate, dette vela cilicia, usate fuori delle case allo scoperto per ripararle dall’acqua, e dal vento; pare dico, che Ulpiano voglia dire, che le tendine servivano nelle stame a impedire la luce, e il sole, se volevano in parte oscurarle, come si fa oggidì; mentre secondo lui per ripararle dal freddo si metteva alle finestre la pietra specolare, come dice anche Seneca De provid. cap. 4., e Natur. quæst. lib. 4.. e. ult., e Plinio il giovane Epist. l. 2. epist. 17. Neque specularia, scrive Ulpiano, neque, vela, quæ frigoris causa, vel umbra, in domo sunt. Nessuno dirà mai che quella pietra servisse per far ombra, o riparare il lume, quando la sua proprietà, e il fine, per cui li usava, era di trasmettere, o lasciar passare per li suoi pori una luce chiara, e copiosa; come dice lo stesso Seneca Epift. 90.: speculariorum clarum transmittentium lumen.; Marziale Epigr. lib. 8. epigr. 14, v. 3. 4. edit. Raderi 1627.:
Hybernis objecta notis specularia puros
Admittunt soles, & fine fæce diem;e s. Basilio In hexaem. homil. 3. n. 4. oper. Tom. I. pag. 36. A.: est autem hic lapis pellucidus, peculiari ac purissima claritate donatus, qui si pro sua natura syncerus & absolutus repertus est, neque ulla exesus putredine, neque fissuris se se ad interiores usque partes extendentes divisus, splendore aeri fere similis existit. Parlano di queste tendine anche Giovenale Sat. 9. vers. 105., ed altri scrittori; ma più spesso fa menzione di quelle, che si mettevano alle finestre delle chiese, Anastasio Bibliotecario nelle vite de’ Pontefici.
bains des Romains. Rilevo anche dalla citata lettera di Seneca il lusso quasi comune a que’ tempi di fare nei bagni le chiavi, o bocche, per le quali sgorgava l’acqua, in argento: argentea epistomia; per dire, che non era singolare la notizia, che dà Winkelmann di alcune di esse nel Tom. iI. pag. 391. §. 1.