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do, come il Panteon, riceve il lume dall’alto per mezzo di un’apertura circolare1, la quale in questo tempio non è stata aperta dai Cristiani, come taluno ha preteso; provando manifestamente l’opposto l’orlo, ossia ornato grazioso di metallo, che vi si vede ancora attualmente, e che non è lavoro di tempi barbari. Quando ai tempi d’Urbano VIII, fu fatta una gran chiavica per lo spurgo delle immondezze fino al tevere, fu trovata quindici palmi sotto il pavimento di quel tempio una grande apertura circolare per lo scolo delle acque, che potessero cadere dall’occhio nello stesso tempio. V’erano anche dei tempj rotondi senza quest’apertura2.

§. 66. Se si potesse giudicare dagli antichi edifizj, che ci restano, e particolarmente da quei della villa Adriana a Tivoli, dovremmo credere, che gli antichi preferissero le tenebre alla luce; perocchè non vi si trova alcuna volta, nè camera veruna, che abbia delle aperture a modo di finestre. Pare che la luce vi entrasse anche per mezzo di un buco nel centro della volta; ma siccome le volte sono cadute verso il punto della chiave, ossia il punto centrale, non è possibile il convincersene chiaramente. Chechè ne sia3, è certo


al-


    quali sono larghe circa un paro di palmi, e alte quattro; altre hanno la stessa altezza, ma larghe solo mezzo palmo; nè vi è indizio, che vi siano mai stati vetri, o altro riparo dalle intemperie dell’aria.

  1. Il tempio del dio Termine rinchiuso nel tempio di Giove Capitolino, aveva un’apertura, forse consimile, al tetto, affinchè si poterle vedere il cielo; essendo stato solito quello dio essere adorato in luogo scoperto. Ovidio Fastor. lib. 2. vers. 671. seg.: Nunc quoque, se supra ne quid nisi sidera cernat, Exiguum templi tecta foramen habent; e Lattanzio Firmiano Divin. inst. lib. 1. c. 25.
  2. Molti, che si credono tempj, erano bagni. Vedi il P. Paoli Antich. di Pozzuolo Tav. 54. segg. fol. 12. Del Panteon ne parleremo appresso nella nostra dissertazione.
  3. Non mi pare che si possa trarre alcun argomento a questo proposito dalle rovine della villa Adriana, che non si sa per qual uso fossero destinate. Dagli scrittori abbiamo generalmente il contrario. Palladio De re rust. lib. 1. cap. 12. prescrive che le case di campagna abbiano molta luce; e di quelle di campagna, e di città non meno lo dice Vitruvio lib. 6. c. 9. Illuminatissime erano quelle di Plinio, delle quali si è parlato qui avanti pag. 62. not. b, la casa descritta da Luciano, nominata alla precedente: tale il bagno di Claudio Etrusco descritto da Stazio Sylv. lib. 1. cap. 5.; e per tutti vagliono le tante leggi romane, che dimostrano la gran premura, che si aveva, perchè non si venisse dai vicini a pregiudicare al lume delle case di città, e di campagna, come può leggersi nelle Pandette, nel Codice, e nelle Istituzioni, ove si tratta delle servitù. Luca Olstenio, Marsilio Cagnato, ed altri, che hanno creduto come il nostro Autore intorno all’angustia, e poco numero delle finestre nelle antiche fabbriche, sono stati confutati dal Donio De restit. salubr. agri rom. in suppl. Ann.