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sull’Architettura degli Antichi. 67

di casa, danno al di dentro un segno alla porta, come un gran critico1 già ci avea fatto osservare; per il che deesi riflettere, che le comedie di questi autori romani sono per la maggior parte imitate, o tradotte dal greco. Il motivo di quel segno, che davasi alla porta prima di uscire, era per avvertire quelli, che mai passassero nella strada vicino alla porta, di scansarsi per non essere offesi. Ne’ primi tempi della repubblica, Marco Valerio, fratello di Publicola, ottenne come un singoiar distintivo d’onore la facoltà di aprire la porta della sua casa in fuori all’uso de’ Greci; e si dà per certo, che fosse quella porta la sola che fosse fatta in quel modo a Roma2. Si vede ciò non ostante su qualche urna di marmo3, nella villa Mattei4, e nella villa Ludovisi, che la porta fattavi per indicare l’ingresso nei campi elisj s’apre in fuori; e nelle pitture del Virgilio vaticano la porta d’un tempio è come oggidì si fa quella delle botteghe de’ mercanti, e degli artisti. Le porte che si apro-


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  1. Muret. Var. lect. lib. 1. cap. 17. Confer Turneb. Advers. lib. 4. cap. 15. [ Vedi anche Sagittario De jan. vet. cap. 23. Il Pancirollo Rer. memorab. lib. 1. tit. 23. pag. 70. afferisce che alcuni a tal effetto avevano alla porta un campanello; ma non ne dà veruna prova. Il Sagittario al luogo citato crede, che Seneca De ira, lib. 3. cap. 35. sia l’unico antico scrittore, da cui ciò si rilevi, ove dice: quid miser expavescis ad clamorem servi, ad tinnitum æris, ad januæ impulsum? Io crederei che da questo passo non si possa trarne alcun fondamento; parendomi primieramente, che vada inteso di chi batteva alla porta di fuori per entrare in casa, o suonava il campanello, come si usa al presente; non già di uno, che voleva uscire di casa, o aprire la porta; nel qual caso il padrone, che stava dentro non doveva impaurirsi sentendo quel suono; nè vi sarebbe stato bisogno di farlo per avvisare quello, che voleva entrare, di scansarsi. In secondo luogo per la maniera generica di parlare, che usa Seneca, intendendola nel senso, che vuole il Sagittario, bisognerebbe supporre generale in Roma l’uso di aprire le porte in fuori in un tempo, in cui era abbandonato anche in Grecia, e rarissimi doveano essere quei, che lo continuavano; come si può raccogliere dalla risposta legale del giureconsulto Scevola, di cui parleremo qui appresso.
  2. Dionys. Halic. Antiq. Rom. l. 5. c. 39. in fine, p. 295. Tom. I., Plutarch. in Poplic. p. 107. E. ov. Tom. I. [ In appresso anche in Roma si farà usata la porta in fuori senza verun privilegio; come si argomenta dal giureconsulto Scevola, di cui parleremo qui appresso, e che viveva ai tempi di Cicerone.
  3. Montf. Antiq. expl. Tom. V. pl. .
  4. Amaduzzi Mon. Matthæjor. Tom. iiI. Tab. 63. fig. 2. Così si vede parimente a un tempio in un basso rilievo affisso nel muro citeriore della Canonica Metropolitana di Firenze, dato dal Gori Inscript. ant. in Etr. urb. par. 2. Tab. 11., e al tempio sul basso rilievo già della villa Medici, ora nella galleria Granducale, dato da Piranesi Della magnif. de’ Rom. Tav. 38. fig. 1., e da noi ripetuto in fine di questo Tomo Tav. XVII. Vitruvio lib. 4. cap. 6. in fine, dà per regola generale, che le porte dei tempj in tutti gli ordini d’architettura si facciano da aprire in fuori.