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sull’Architettura degli Antichi. | 49 |
§. 41. Il signor le Roy nella descrizione, che dì degli antichi monumenti della Grecia, fissa tre epoche differenti delle colonne dell’ordine dorico: cioè il più antico tempo,
Tom. III. | G | in |
Il traduttor latino ha interpretato questo verso
probabilmente senza capirlo:
O rex, fisse tuum pedem ubi astas, vel in porticu.
Le parole ἐν παραστάσιν a mio parere, devono intendersi di un tempio in antis, cioè, che aveva nella facciata pilastri alle estremità delle mura, che chiudono la cella, e nel mezzo fra i pilastri due colonne; forma, che appunto Vitruvio lib. 3. c. 1. p. 98., riferisce essersi chiamata dai Greci ἐν παραστάσιν; e veniva a formare un vestibolo. Di queste due colonne forse volle parlare il poeta, o anche di altre, che fossero dentro al tempio; non già di un portico, o colonnato, che lo circondasse tutto. Altrimenti, come si avrebbe a intendere, che dai vani fra i triglifi si potesse penetrare nel tempio, quando questi vani doveano corrispondere nel portico? Supponendo il tempio nella forma descritta, si può dire, che lo stesso ordine d’architettura girasse tutto intorno sul muro; e che nel fregio vi fossero le metope aperte per dar lume nel tempio, o perchè non fosse ancora introdotto l’uso di chiuderle, o per altra ragione. Ma qui fa nascere una questione lo stesso Vitruvio lib. 4. cap. 2., ove non trovo riflessione alcuna degl’interpreti. Egli riprende l’opinione d’alcuni, i quali dicevano, che i triglifi rappresentassero finestre. Chi può mai aver pensato cosa simile, assurda non solamente perchè i triglifi si pongono nelle cantonate, e sopra i mezzi delle colonne, ne’ quali luoghi ripugna alla natura l’esservi finestre, come dice lo stesso scrittore; ma ancora perchè i triglifi sono nelle teste dei travi, i quali sono stati posti in quel luogo necessariamente sin dai primi tempi a reggere il tetto, o per il soffitto, com’egli avea detto poco prima? Sarebbe mai quello un equivoco di Vitruvio, il quale abbia scritto dei triglifi in vece delle metope: Queste erano aperte secondo Euripide; ed è più naturale, che lo fossero, non già i triglifi. Egli avea pur detto poco prima, che gli antichi fabbricatori empirono di fabbrica lo spazio rimaso fra’ travi, ossia le metope, parlando di fabbriche di muro: argomento chiarissimo, che quello spazio era atto a stare aperto; e così sarà stato nelle fabbriche di legno, e ne’ primi tempi. In secondo luogo, Vitruvio segue a dire, che i Greci chiamavano opus i letti dei travi, e dei panconcelli; e che dai Romani erano chiamati columbaria, buchi dei colombajo, o per li colombi: opas Græci tignorum cubilia, & asserum appellant, uti nostri ea cava, columbaria (le quali ultime parole credo siano siate mal tradotte da Galiani, dicendo, i nostri li chiamano cava columbaria, mentre la parola cava dee riferirsi a ea, quei buchi); e che presso i Greci era detto metopa quell’intervallo, che è fra i due letti dei travi. Qui potrebbe dubitarsi, che Vitruvio abbia equivocato nella stessa maniera. Ha voluto cavare la significazione di metopa dai due letti, o buchi dei travi, fra i quali sta; quali che metopa sia inter opas, fra i buchi, non riflettendo alla primitiva maniera indicata da Euripide, nella quale era vuoto l’intervallo fra i due travi, che formavano i triglifi; e da quello vuoto, o buco, dovea cosi chiamarli la metopa, non dai letti dei due travi, che non erano vuoti. Μετὰ ὀπή di cui non ha saputo che dirsi Enrico Stefano nel suo lessico greco, voleva dire piuttosto in foramine, nel buco; oppure, che è più probabile, si può interpretareὀπή μετά foramen inter, cioè buco fra i travi; come si dice presso i latini intervallum, interstitium, intermedium, in vece di valium inter, stitium inter, medium inter; parole compone nello stesso modo, e per significare una cosa di mezzo: onde μετοπή è presso gli architetti quella materia, o quell’ornamento, che va nell’intervallo, nel framezzo, ossia nei buchi, o vani, che sono fra i travi nel fregio dell’intavolato, o cornicione di una fabbrica, detto dai latini intertignium. Cosi columbaria non dovevano essere i buchi dei travi, che erano in opera; ma i veri buchi, o lasciati dai travi adoprativi per far ponti, e quindi toltine; oppure i vani fra le teste de’ travi, o triglifi, tra i quali usavasi lasciare quello spazio vuoto in cima alle case, e alle torri per li nidi dei colombi, o per passaggio di essi nelle soffitte, ove si tenevano per lo più, come al presente. Ved. Varrone De re rust. lib. 3. cap. 7., Columella De re rust. lib. 8. c. 8., Palladio De re rust. lib. 1. cap. 24. Ciò per altro ha detto per un semplice dubbio, al quale sembra, che debba prevalere l’autorità di Vitruvio, che scriveva della sua professione, e parlava di termini, che erano in uso al suo tempo, e doveano capirli nel vero lor senso.