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rattere. Egli non ha capito il fine, per cui Vitruvio vuole quei modiglioni così lunghi fino alla quarta parte dell’altezza della colonna: ed è probabilmente acciocchè essi portando il tetto molto in fuori tutto attorno al tempio, poggiando sull’architrave di legno, e sulle mura della cella, supra trabes, & supra parietes, si venisse così a dare comodo al popolo in occassione di pioggia di ritirarvisi al coperto nella stessa maniera, che si faceva nei tempj greci col colonnato tutto intorno, come scrive lo stesso Vitruvio1: Si & imbrium aquæ vis occupaverit, & intercluserit hominum multitudinem, ut habeat in æde, circaque cellam, cum laxamento liberam moram.
Lascio ora considerare ad un attento leggitore o semplice letterato, o semplice architetto, se dopo vedute tutte queste mie difficoltà, possiate continuare con buona fede a sostenere, che, il marchese Galiani, ed altri trovandosi nel bivio, o di foracchiare (se pure lo vogliono) una parola, e salvare la sostanza della cosa, o di salvare la parola, e alterare totalmente la cosa con mille arbitrj, e supposizioni; scelsero come più prudenti il primo partito: se si tratti solamente di stiracchiare una parola (se pure lo vogliono, per farci un piacere); o se i mille arbitrj, e supposizioni siano delG aliani, che ha scontrafatto Vitruvio, e l’ordine toscano barbaramente. Egli dovea piuttosto confessare, e lo protesterò anch’io, se volete, di non capire, come si facesse un tetto in quella maniera senza fregio; mettendo quella cosa o tra le invenzioni, e artifizj degli antichi, de’ quali si è perduta la memoria; o tra i luoghi oscuri di Vitruvio, che forse il tempo, o qualche bravo ingegno o letterato, o architetto, o meccanico, potrà ridurre alla bramata chiarezza.
In ultimo luogo, sig. Cavaliere, mi sono riservato ad esaminare ciò, che voi scrivete riguardo al tempio di Giove Olimpico a Girgenti descritto da Diodoro. Largo campo vi si è aperto con questo argomento da far di nuovo pompa, della vostra profonda dottrina architettonica; da farci toccar con mano, che con tutta ragione avete tante volte ripetuto contro di Winkelmann, e di me il detto di Vitruvio, qui litteris solis confisi fuerant, umbram, non rem persequui videntur; e che coll’erudizione sola non si potrà mai parlare giustamente della filosofia, della matematica, della meccanica, dell’architettura degli antichi, senza sapere queste fcienze. La scienza geometrica, la trigonometrica, la calcolatoria, e l’erudizione tratta dai migliori classici vi si trova più che mai sparsa a larga mano: e quel che è più valutabile, il tuono magistrale, e il possesso di cattedra, vi spicca sì autorevole, che se durasse quella vecchia usanza d’imporre silenzio coi mngister dixit, resteremmo tutti colla bocca aperta, e stupefatti. Ci conforta però in qualche maniera quell’apologhetto di Marziale2 intorno a un leone, e ad un lepre:
Rictibus his tauros non eripuere magistri,
Per quos præda fugax itque, reditque lepus.
Quodque magis mirum, velocior exit ab hoste;
Nec nihil a tanta nobilitate refert.