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d’Agamede, e Trofonio, che arse l’anno primo dell’olimpiade lviii.: di massi della pietra porina, che non dovea essere specie di tufo1, era fabbricato in parte il tempio di Giove Olimpico d’ordine dorico2, e ne fu rifatto il detto tempio di Delfo dagli Anfizioni3; e dei Greci in generale Plinio4, compendiando Vitruvio5, scrive: Græci e lapide duro, ac silice æquato construunt veluti lateritios parietes. Con tutto quello complesso di cose, che mostrano uno stesso genio contemporaneo della nazione greca, e lo stesso impegno, e quasi gara fra le diverse città, perchè vorremo credere, che le nostre fabbriche, o almeno le mura, e il primo tempio, che è simile nell’ordine d’architettura, e nella disposizione delle parti al secondo, siano d’un’epoca tanto più antica; e benchè simili, pur siano opera d’una nazione diversa, che diversamente pensava, e fabbricava tanti secoli prima, come si suppone, senza darne altra prova, se non che le stesse fabbriche; e non piuttosto attribuirle ai Greci abitanti, o anche ai Sibariti loro fondatori, popolo ricchissimo, magnifico, e potente a segno da mettere in campagna trecento mila combattenti6, tornito di tutte le arti di lusso, inventore di tanti comodi della vita, e delle stufe, munito di forti mura, e non privo di tempj, e di statue?7. Non si sa il tempo preciso, in cui


furo-


  1. Di quella pietra dovea essere la statua di Sileno, mentovata da Winkelmann nel Tom. I. pag. 30.; perchè il passo di Plutarco da lui citato deve emendarsi πωρίνου Σειλήνου, in vece di πωρίνου σελίνου, come osservò il Taylor Lection. Lysiaca, Orat. Græc. Tom. VI. pag. 254. Lipsia 1772., e prima di lui il Salmasio loc. cit. cap. 11. pag. 129. B.
  2. Pausania lib. 5. cap. 10. pag. 397.
  3. Erodoto lib. 2. cap. 180. pag. 191., lib. 5. cap. 62. pag. 401.
  4. lib. 36. cap. 12. sect. 51.
  5. lib. 2. cap. 8.
  6. Strabone lib. 6. pag. 403.
  7. Ateneo lib. 12. cap. 3. pag. 518. segg. Vedasi anche il Barri De antiq. & situ Calabr. lib. 4. cap. 7. segg. pag. 377: segg. Roma 1737. A comprovare la perizia dei Posidoniati nell’architettura io non addurrò l’osservazione del P. Paoli Diss. 2. n. 7. pag. 25., cioè che i Focesi per ben fondare la città di Jela si servirono d’un uomo ai Pesto, e sotto la direzione sua fu l’opera perfezionata: perocchè Erodoto, da cui il P. Paoli cava questa notizia, lib. 1. cap. 167. parla molto diversamente, non dicendo altro se non che, quando i Focesi venuti in Italia volevano fondare la città di Jela, un uomo di Posidonia loro spiegò la risposta dell’oracolo di Delfo, il quale diceva, che essi doveano fondare una città da chiamarsi Cirno, non già che andassero contro l’isola di Cirno, detta poi Corsica, come essi lo aveano interpretato. Ecco l’intiero passo: (Φωκαιέες) ἐκτήσαντο πόλιν γῆς τῆς Οἰνωτρίης ἥτις νῦν Ὑέλη καλέεται· ἔκτισαν δὲ ταύτην, πρὸς ἀνδρὸς Ποσειδωνιήτεω μαθόντες ὡς τὸν Κύρνον σφι ἡ Πυθίη ἔχρησε κτίσαι ἥρων ἐόντα, ἀλλ᾽ οὐ τὴν νῆσον. Civitatem possederunt in agro Oenotriæ (Phocæentes), qua nunc appellatur Hyela, eam autem condiderunt, a viro Poseidoniate edocti, Pythiæ oraculo jussos fuisse Cyrnum tondere, qui heros esset, non insulam. Neppure mi sembra, che regga l’altro argomento, che ricava il P. Paoli da quello passo, della grande antichità di Pesto, anteriore a tutte le colonie de’ Greci in Italia, fondato nel dire di Erodoto, che quei Focesi, a’ quali insegnò il