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24 | O s s e r v a z i o n i |
oggidì chiamato Capo di Bove1, e la Piramide di Cestio2.
§. 10. Il peperino, o pietra d’Albano, servì parimente per li principali pubblici edifizj nel tempo stesso, che in Roma si. metteva in opera il marmo con tanta profusione. Quelli, che si sono conservati del tempo degl’imperatori, sono il Foro di Nerva, il vicino tempio di Pallade3, il tempio d’Antonino, e Faustina4: un piccolo tempio fuori di Roma presso il lago Pantano, di sessanta palmi di lunghezza, e trenta di larghezza, i di cui quattro muri sono in piedi, è forse d’un tempo più remoto. Quelli tempj però erano rivestiti di lastre di marmo, come appare dai frammenti, che ve ne restano5.
§. 11. La |
- ↑ Ne dà la figura il Nardini Roma ant. lib. 3. cap. 3 pag. 73., Montfaucon Antiq. expl. Tom. V. pl. 112. seg., Piranesi Le antich. rom. Tom. iiI. Tav. 12. Il masso è rivestito di travertini; di marmo è il fregio, che gira intorno, ornato di teschi di bove, e di festoni; e l’iscrizione.
- ↑ L’ha data in rame, e descritta Ottavio Falconieri in un discorso aggiunto alla citata opera del Nardini.
- ↑ Vedi Tom. iI. pag. 366. 368.
- ↑ Vedi loc. cit. pag. 294. n. a.
- ↑ La fabbrica più considerabile fatta di peperini al tempo degl’imperatori, in quel-
lastre di marmo segate fu introdotta da Biza di Nasso, come costava dai versi posti sotto la statua erettagli nella sua patria, che noi riferimmo nel Tom. iI. pag. 11. col. 1.; e questi viveva al tempo, che regnava Aliatte nella Lidia, e Astiage figlio di Ciassare nella Media; vale a dire circa seicent’anni prima di Gesù Cristo. Or chi sa quanto fosse più antica l’arte di segare il marmo, e le pietre per gli altri usi semplici delle fabbriche: Ciò sia detto per congettura; perocchè si potrebbe intender piuttosto Pausania, che Biza inventasse l’arte stessa di segare il marmo, e forse nell’occasione di farne uso per tegole. Infatti l’onore di eternare la di lui memoria con una statua, pare che supponga un merito più originale, e di maggior conseguenza; come era quello della invenzione dell’arte di segare il marmo; anziché di estendere semplicemente l’uso di quell’arte a farne delle tavole da coprirne i tetti; estensione, che poteva farsi da chiunque senza molta fatica di più, o acutezza d’ingegno. Sebbene è noto agli antiquari, che gli scrittori antichi spesso hanno confuso i primi inventori delle cose con quelli, che in appresso vi hanno fatte delle aggiunte, o ne hanno esteso l’uso. Comunque sia stato, Plinio loc. cit. sect. 6. mostrò d’ignorare questi fatti confessando chiaramente, di non sapere, chi fosse autore di quella invenzione: e scrivendo, che altro non poteva dirne, se non che, la casa del re Mausolo fatta nell’olimpiade cvi., e l’anno di Roma 404., era ornata di marmi lavorati colla sega; e forse vuol dire, che ne era impellicciata, poiché nel resto era di mattoni. L’Arduino non ha notata questa mancanza di Plinio; ma troppo ha voluto abusare delle di lui parole il signor de la Faye Recherch. sur la prépar. ec. p. 57., facendogli dire assolutamente, che l’arte di segare il marmo non risaliva sino alla fondazione di Roma, per poter meglio sfigurare un altro di lui passo cap. 113. sect. 19., facendolo parlare del solo laberinto d’Egitto, quando parla di tutti quattro, cioè anche di quello di Creta, di Lenno, e dell’Italia; e interpretando di un lavoro artificiale con calce, e altre materie, le di lui parole lapide polito, che altro non significano, se non che pietra liscia, lavorata, o lustrata, come parla nello stesso senso Plinio poco prima cap. 7. sect. 10., cap. 15. sect. 22., lib. 37. cap. 10. sect. 62., e in tanti altri luoghi. Sono quelli alcuni degli argomenti, de’ quali si serve il signor de la Faye per provare, che il granito degli antichi è una pietra artefatta, come fu accennato nel Tom. I. pag. 127. n. 1.