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sull’Architettura degli Antichi. 23

guerra punica, e si vede ora nella biblioteca Barberini: è della stessa età di quella di Duillio, che verosimilmente non farà stata incisa in altra pietra; e non già fui marmo, come si è preteso provare1 con un passo di Silio Italico; non essendo dello stesso tempo i frammenti di marmo, che se ne veggono2; e Seldeno3 con varj altri scrittori non sarebbero restati in dubbio intorno a quello monumento, se avessero potuto vedere da sè stessi quella iscrizione. Del marmo in Roma se ne venne in cognizione molto tardi; ma pure vi fu usato prima dell’anno 676. dalla sua fondazione4, benchè uno scrittore l’abbia negato5. Plinio, che si adduce a quello proposito, parla del marmo di Numidia, e della prima soglia, che ne fu fatta6; assicurandoci peraltro al luogo stesso, che l’arte di segare il marmo non fu nota in Roma prima del secolo d’Augusto: il che pare inverosimile7. Chechè ne sia, è certo che si è adoprato il marmo senza servirsi della sega, in due monumenti del tempo della repubblica, che sono il sepolcro di Cecilia Metella,


oggi-


    notai al Tom. I. pag. 30. not. b.; non già che questo fosse incognito a Roma ne’ più antichi tempi, come ha creduto anche il signor dottor Lapi Ragionam. mineral. del selce rom. pag. 23.; essendo stato adoprato originariamente alla Cloaca massima, lavoro assai più antico del sepolcro degli Scipioni, come fa osservare il signor Piranesi nella citata opera Della magnif. de’ Rom. Tav. 3., e pag. XLIII. n. 30. Il signor de la Condamine, che Extrait d’un journ. ec. Acad. roy. des Scienc. annèe 1757. Mèm. p. 380. dice lavorato in travertino il carcere fatto da Anco Marzio, ha equivocato coi restauri. de’ quali parlammo qui avanti pag. 22. n. a.

  1. Rycquius De Capit. cap. 33. pag. 400. [ Si veda ciò che ho notato nel Tom. iI. pag. 154. not. a.
  2. In Campidoglio nel palazzo dei Conservatori a piè della scala.
  3. Marmora Arundell. pag. 103. edit. Maitt.
  4. Si veda Tom. I. pag. 237., Tom. iI. pag. 159. seg.
  5. De Gozze Iscr. della base della col. rostr. pag. 10.
  6. Plin. lib. 16. eap. 6. sect. 8.
  7. Plinio dice di più, cioè che non fosse cognita neppur in Italia: nondum enim secti marmoris vestigia invenerat Italia: ma questo mi pare un errore, seppure non volessimo scusare Plinio con dire, che l’uso della sega non fosse molto esteso, o per la sua difficoltà, o per altra ragione; poichè nell’anno di Roma 579. il censore Quinto Fulvio Fiacco fece togliete dal famoso tempio di Giunone Lacinia, vicino a Crotona nella Magna Grecia, le tavole di marmo, delle quali era coperto; e le fece portare a Roma, come vedemmo nel Tom. iI. pag. 160. È probabile, che fossero state poste su quel tempio qualche tempo prima; e quindi li può dire, che l’arte di segare il marmo fosse molto più antica in Italia, e forse anche in Roma, se vi era già cognita sin d’allora l’arte di farne delle tavole per quell’uso di coprirne i tetti. Così argomento ancora dei Greci. Le tegole di marmo pentelico furono adoprate al tempio di Giove Olimpico ducento e più anni prima di Fiacco; e Pausania, il quale ciò racconta lib. 5. c. 10. p. 398., dice, che quella usanza di coprire i tetti con