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sanctorum Joannis & Pauli per Cœlium montem ad Lateranum pertinent, & incensas diruit: quam pulcherrimæ regionis vastitatem ad nostra tempora continuasse videmus. Ea nos & alia Henrici quarti temporibus gesta considerantes, conjicimus urbem Romam, quæ Pontificum Romanorum beneficio imminutas longe supra vires non parum instauraverat, tunc primum ad hanc quæ nostris inest temporibus rerum exiguitatem esse perductam.

Fra i monumenti più insigni, che perirono in quello disastro, io credo con Pietro da Barga nell’opera mentovata, che per il fuoco delle vicine case rovinante, e restasse in parte abbruciato l’Obelisco d’Augusto in Campo Marzo; all’opposto del citato Bandini, il quale pretende1, che ciò non possa dirsi, perchè non arriva a capire come mai un Obelisco, il quale se ne stava piantato con tanta solidità, rovinasse per un incendio, se non vi si forse aggiunto l’artifizio dei vetti, e delle funi nel rovesciarlo: onde tiene per certo, che sia stato rovinato insieme cogli altri Obelischi dai barbari Goti sotto il feroce Totila, quando entrarono per la seconda volta in Roma, come avea congetturato il Mercati2. A siffatto discorso io rispondo in primo luogo, che l’Obelisco danneggiato come è, dovea cadere necessariamente senza bisogno di vetti, o di funi; essendo impossibile, che continuasse a restare in piedi, come ora è impossibile di raddrizzarlo. Ripeto in secondo luogo non potersi provare, che Totila facesse tanto guasto in Roma, come credono questi scrittori, e molto meno dalla parte del Campo Marzo; avendosi da Procopio, che il maggior danno, che vi fece la prima volta, che v’entrò, fu nella regione di Trastevere, come già osservammo: delle quali rovine essendo stato rimproverato dal re di Francia,


pro-


  1. Dell’Obel. di Ces. Aug. cap. 16. pag. 91. segg.
  2. Degli Obelischi, cap. 25.