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s u l l e R o v i n e d i R o m a. |
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delle fabbriche, da effe godute, per concessione de’ Sommi Pontefici, di monisteri, o di chiese, è cola non facile a provarsi. Di Crescenzio è certo, che di propria autorità s’impadronisse della Mole Adriana. Chi sa che lo stesso non abbiano fatto parimente gli altri potenti, e ricchi signori del paese nella gara generale, che v’era fra loro di dominare la città, e di superarsi, occupando i luoghi più a portata da fortificarvisi, dandoci argomento di crederlo gli storici arrecati, ed altri non pochi, i quali parlano sempre di occupazione, e spesso di occupazione violenta? I Sommi Pontefici sapendo le loro mire non avrebbero dovuto dar loro quel comodo, di cui poteano abusare a danno della città, e con pregiudizio dell’autorità Pontificia, come in tanti secoli avvenne pur troppo; ma si rifletta, che venendo essi tratti da famiglie diverse, e fra di loro per lo più nemiche, o favorivano i loro parenti, o doveano a seconda delle circostanze cattivarli l’amicizia ora di quella, ora di quell’altra, come potrebbe dimostrarsi cogli esempj.
Indipendentemente dai Sommi Pontefici molti potevano a quelli tempi essere padroni di fabbriche per altro giusto titolo, come per eredità, o per contratto con quelli, che le avessero avute in origine dagl’imperatori, da Teodorico, o in altro modo legittimo, secondo ciò che fu detto innanzi. Molte chiese, e monisteri ne avranno avuta qualcuna per liberalità de’ Pontefici; altre le avranno occupate come vicine a loro, e derelitte; ed altre le avranno acquistate per dono di coloro, che prima le possedevano. Di queste ne abbiamo un esempio, degno di essere notato, nella donazione, che nell’anno 975. Stefano figlio d’Ildebrando console, e duca da aggiugnersi alla storia del Senato Romano fatta dal Corti, e dal Vendettini, fece ai detti monaci di s. Gregorio al Monte Celio di un tempio, detto il