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glie medesime andarono occupando anche altri luoghi, e per esempio gli Orsini il Monte Giordano, ove stavano anche nel 1493.1; i Savelli al tempo dell’imperator Enrico VII. sul principio del secolo XIV. ebbero il Sepolcro di Cecilia Metella, detto allora Capo di Bove2 per li teschi di bove in marmo, che vi sono nel fregio tutto attorno; e poi lo acquistarono i Caetani, come si vede anche al presente dalle armi della casa, che vi sono affisse nei muri aggiuntivi per fortificarvisi. Alcune di quelle fabbriche erano intiere quando furono occupate, come il Colosseo, il Sepolcro di Cecilia Metella, ed altre, delle quali diremo appresso; ma il Teatro di Marcello, e quello di Pompeo, se possiamo giudicare di que’ tempi gli avanzi delle case, che ancora vi si veggono, doveano essere rovinati la maggior parte.

Qui farebbe a ricercarsi, se quelle famiglie entrassero in possesso degli edifizj pubblici di propria autorità, o per concessione dei Sommi Pontefici. Essendo quelli succeduti, come padroni di Roma, in tutti i diritti degl’imperatori,


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  1. Infessura Diar. Urb. Romæ., presso l’Eccardo Corp. histor. med. ævi, Tom. iI. col. 2014., e il Muratori Tom. iiI. par. 2. col. 1249. B. Vedi anche il Sansovino nella Storia di quella casa, lib. 1. pag. 6.
  2. Niccolò vescovo Botrontinense Relat. de itin. Ital. Henr. VII. Imper. presso il Muratori Tom. IX. col. 918. E., ove dice, che Enrico unito al popolo lo tolse a Giovanni Savelli, poi lo diede al di lui fratello Pietro, che avea per moglie una di casa Colonna; e di questo intenderà forse parlare Albertino Mussato De gest. Ital. post Henr. VII. Cas. lib. 1. rubr. 2. presso lo stesso Muratori Tomo X. col. 574. scrivendo, che dopo la morte di Enrico nel 1313. lo possedeano gli aderenti dei Colonnesi, i quali voleano cederlo a Roberto re di Puglia venuto a Roma. Trovo fatta menzione di Capo di Bove in una carta del monistero di Subiaco dell’anno 953. pubblicata dal ch. monsig. Galletti Del Primic. della s. Sede, append. n. XIII. pag. 204., in cui si ha, che v’erano le saline; poichè una certa Rosa vendè a quel monistero un filo di salina, ossia come io credo, un ramo di terreno, di que’ tanti, ove si disecca l’acqua marina per estrarne il sale: Filum saline quod ponitur in Burdunaria in pedica que vocatur Capite bove juxta filum de Dominico, qui vocatur Caca in butte; siccome di due altri fili delle medesime saline possedute dalle chiese de’ Ss. Sergio e Bacco, e di S.Pancrazio, si fa menzione in una lettera d’Innocenzo III., di cui parleremo appresso: Duo fila falinarum in Bandonaria, in loco, qui dicitur Caput bovis, juxta filum s. Pancratii. Io non intendo come qui potettero esservi le saline da fare il sale, che non potevano essere altrove, che vicino al mare; e perciò credo che qui si parli di altro luogo alla riva del mare verso il porto di Trajano, ove erano le saline, che pure si chiamasse Capo di Bove: e in fatti là alle saline vi era un luogo detto Burdunaria, di cui si parla in una bolla di Leone IX., che cominciò a regnare l’anno 1049., diretta a Giovanni vescovo di Porto, predo l’Ughelli Italia sacra, Tom. I. col. 122. D.