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s u l l e R o v i n e d i R o m a. | 317 |
to rovinosa, dove il toglierle non potesse portar pregiudizio, per ogni cautela chiedendone all’esarco medesimo la licenza; seppure non erano in potere di questo per qualche ragione a noi sconosciuta. E siccome l’indipendenza, che acquistò Gregorio dagl’imperatori, e il dominio su quella città, e Ducato con loro dispiacere grandissimo, dovea portar un’eguale contrarietà coll’esarco loro primo ministro in Italia, il quale mai non avrebbe accordate le sei colonne al Papa ancorchè fossero state in Ravenna, o in altra parte ancora soggetta agl’imperatori; potremo dire, che il Sommo Pontefice le chiedesse all’esarco nel principio del suo Pontificato, sull’esempio de’ Tuoi predecessori, come dicemmo, quando Roma ancor non avea reclamata la sua libertà: e forse in quel tempo Eutichio si trovava ancora in Roma; avendosi da Anastasio, che vi stava sull’ultimo del Pontificato di s. Gregorio II.1 antecessore di Gregorio III.
A far la calce in Roma, e nelle vicinanze, per economia di spesa, e per sollecitudine, saranno stati adoprati pezzi di marmi, e di travertini presi anche dalle fabbriche rovinate; e porto opinione, che vi siano stati cotti infiniti inutili rottami di tante statue, che vi doveano essere in ogni contorno, e qualcuna rotta anche a posta. L’avidità del guadagno, e la comodità dei luoghi aveva introdotta, per quanto costa chiaramente, sin dal secolo IV. la barbarie di far calce coi monumenti dell’arte, e coi sepolcrali in ispecie, sebbene intieri, per il comodo, che si aveva nelle proprie vigne, e nei campi di rovinarli senza essere scoperti: contro della quale usanza temeraria fulminarono pene grandi gl’imperatori, arrivando sino alla pena di morte, che l’imperator Costante commutò in pena pecuniaria nella legge seconda diretta a Limenio prefetto del Pretorio, e della
città |
- ↑ Nella dìi lui vita, sect. 187. pag. 171