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bliche, ed anche per le private fossero presi materiali dalle antiche fabbriche andate a terra, e specialmente le colonne, e capitelli, che vediamo nelle riferite chiese, le quali è manifesto aver servito ad altri edifizj, toltene poi per quell’altr’uso quali si trovavano, senza badare se erano di qualità, e forma differente, purché potettero servire in qualche modo a regger peso. Dico dagli edifizj rovinati, perchè non mi pare credibile, che i Papi ne guastassero a posta degl’intieri, attese le licenze, ch’essi chiedevano agl’imperatori, o agli esarchi per qualche fabbrica, che forse era meno danneggiata, come osservammo; e per la cura, che ebbero gli altri in appresso della loro conservazione. Solo può far maraviglia, che il lodato Gregorio III. domandasse all’esarco Eutichio le sei colonne nominate avanti per la chiesa di s. Pietro; mentre egli non incontrava ostacolo per rifar le mura, e le altre chiese, tante delle quali aveano rifatte anche i suoi antecessori senza chiedere licenza da veruno per aver le colonne, ed altri materiali, che v’impiegarono, come può dedurli dal non parlarne Anastasio: e molto più cresce quella maraviglia se riflettiamo, che Gregorio III. fu il primo, che per volontaria dedizione del popolo esercitò in Roma, e nel suo Ducato giurisdizione sovrana, indipendentemente dagl’imperatori, come osservarono i moderni critici1. Ma per quella ragione appunto io dico, che i Sommi Pontefici avessero tolti i materiali da fabbriche cadute, le quali altro non facevano che ingombrare il paese nella pubblica impossibilità di rifarle; e che non parendomi verisimile, che Gregorio volerle far venire quelle sei colonne da Ravenna, ove comandava l’esarco, averle potuto levarle in Roma da qualche fabbrica non tan-

  1. Vedasi il ch. Padre Becchetti nella Continuazione della Storia Ecclesiastica dell’emo Orsi, Tom. IV. lib. 53. n. 13. anno 741.

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