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inumane1; e qualora da quelli venivano richiesti di ajuto contro i Longobardi, con tutto lo stento s’inducevano a mandare qualche legato, il quale amichevolmente, o con minacce, che più in là non andavano delle parole, tentasse di far desistere quella nazione dalle sue intraprese2. Egual noncuranza mostravano gli esarchi, che per lo più stavano a Ravenna, sinché Eutichio non ne fu cacciato dal re Astolfo. Talvolta che si trovavano in Roma, profittavano volentieri di qualche tumulto per derubare senza riguardo veruno le stesse chiese; e costringere il popolo, e i Sommi Pontefici a pagar de’ tributi, e multe insopportabili3. I magistrati o non vi si creavano più, o non volevano attendere, e provvedere a’ pubblici bisogni de’ viveri, e della difesa della città. Secondo quelle cose può sostenersi con probabilità, che a que’ tempi vada riferito un epigramma estratto dall’archivio capitolare di Modena, e pubblicato dal Muratori nelle sue italiche Antichità4, il quale facendone l’analisi, appunto al settimo, o all’ottavo secolo pensò di riferirlo:

Nobilibus fueras quondam constructa patronis,
Subdita, mine servis. Heu male Roma ruis!
Deseruere mi tanto te tempore reges:
Cessjt & ad Græacos nomen honosque tuum.
In te nobilium Rectorum verno remansit;
Ingenuique tui rura Pelasga colunt.
Vulgus ab extremis distractum partibus orbis,
Servorum servi nunc tibi sunt domini.
Constantinopolis florens nova Roma vocatur.
Moenibus & muris Roma vetusta cadis.


Hoc


  1. Vedi Anastasio nella vita di s. Gregorio II.
  2. Vedi lo stesso nella vita di Stefano II. o III., sect. 232. 235. pag. 197. 199.
  3. Vedi lo stesso nella vita di Severino, sect. 212. pag. 122., nella vita di Sergio, sect. 150. pag. 150.
  4. Tom. iI. diss. 21. col. 147., e lo ripete il Zanetti loc. cit. Tom. I. pref. p. XXX.