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vare un compenso; e fu, come narra Paolo Diacono1, di sfogare il suo mal talento contro degli stessi suoi sudditi romani. Venne dunque a Roma li 5. luglio dell’anno 663., ove dissimulandosi per prudenza la passata sua condotta fu accolto, e trattato nei dodici giorni, che vi si trattenne, dal Sommo Pontefice Vitaliano, dal Clero, e dal popolo con segni, e dimostrazioni di particolare stima, e rispetto. Frattanto che da ipocrita facea delle visite ossequiose alle principali chiese, o basiliche, offerendovi anche qualche dono2, osservando le antiche maraviglie dell’arte, che v’erano rimaste, fece togliere quanto potè degli ornamenti, e lavori di bronzo, e persino le tegole indorate, che coprivano il Panteon, già dedicato, come dicemmo, in tempio cristiano. Anastasio, e il detto Paolo Diacono, scrivono, che tutti finisse di portar via i lavori di bronzo, che v’erano rimasti3; e aggiugne il secondo, che volea mandarli a Costantinopoli: Omnia, quæ fuerant antiquitus instituta ex tre in ornamentum civitatis, deposuit, in tantum ut etiam basilicam B. Mariæ, quæ aliquando Pantheon vocabatur, & conditum fuerat in honorem omnium Deorum, & jam ibi per concessionem superiorum principum locus erat omnium Martyrum, discooperiret, tegulasque æreas exinde auferret, easque simul cum aliis omnibus ornamentis Constantinopolim transmitteret; ma, come riflette bene il Zanetti4, se Costante avea fatto fermo proposito di non far più ritorno in quella regia città, ove sapeva di essere tanto mal veduto per le sue sceleraggini,


ed


  1. De gest. Langobard. lib. 5. cap. 11.
  2. Anastasio nella vita di s. Vitaliano, sect. 135. pag. 131. seg.
  3. L’Alveri Roma in ogni ogni stato, par. 1. pag. 569. scrive che portasse via anche le statue di marmo, e tutti i più belli ornamenti; ma questa è una delle solite inesattezze di quello scrittore; come è una esagerazione grandissima quella del Vasari nel proemio alle vite de’ pittori ec., pag. 154., ove dice, che Costanze guastò, spogliò, e portossi via tutto il resto, che non aveano guastato i Pontefici, e massimamente s. Gregorio; dopo aver detto senza provarlo, che Totila rovinò Roma a segno di farle perdere la forma, e l’essere stesso, Il Vasari merita fede nelle notizie del suo tempo, e del suo mestiere; ma non in quelle che richieggono maggior erudizione di antica storia,
  4. Del regno de Longob. lib. 4. n. 23. Tom. iI. pag. 378. seg.