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niversale abominazione, per ordine del Senato ne furono rotte, e guastate le statue, ed altre memorie, come fu osservato riguardo a quelle di Domiziano, e di Comodo1. Sul principio del IV. secolo dell’era cristiana parea, che la grandezza di Roma, e quella dell’impero, si avvicinassero al punto di una total decadenza. Il buon gusto nelle arti si era perduto da gran tempo2. I nemici esterni di essa aveano cominciato ad insultarla da ogni parte, e frequenti erano più che mai le civili discordie, e le tirannie. Le sue fabbriche, soggette a quelle stesse cause fisiche, per le quali ogni cosa o naturale, o artefatta va a disciogliersi, e finire, già si risentivano dell’antichità, screpolandosi, e minacciando rovina. Salito al trono Costantino il Grande furono sedati gl’interni tumulti, frenate le barbare nazioni; ma le fabbriche, e gli altri monumenti della metropoli non ne riportarono gran vantaggio. Esse aveano bisogno d’essere restaurate, e per quello effetto ci voleano somme immense. Costantino avendo in mira la sua nuova capitale, per fondarla, e ornarla da potere star a fronte della vecchia, vi avrà destinata la maggior parte de’ suoi tesori, come vi avea destinati infiniti de’ più bei monumenti dell’arte, che si trovavano sparsi in tutto l’impero, statue, colonne, ed altri marmi, nel tempo stesso ch’egli voleva osservata la sua legge, non si sa di qual anno3, in cui proibiva, come già si era fatto da altri principi suoi antecessori colle leggi, che accennammo, di poterli togliere da una città i monumenti, che l’ornavano, per trasportarli in un’altra: Nemo propriis ornamentis esse privandas existimet civitates: Fas siquidem non est acceptum a veteribus decus perdere civitatem, veluti ad urbis alterius moenia transferendum. Da un’altra di lui legge,

  1. Vedi qui avanti pag. 252., e Tom. iI. pag. 400.
  2. Vedi Tom. iI. pag. 401. segg.
  3. Gottofredo crede, che sia piuttosto di Costanzo.

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