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286 D i s s e r t a z i o n e

stesso Anastasio nella di lui vita1, ebbe espressa permissione dall’imperator Eraclio di levare dal tempio di Roma, o secondo altri codici, di Romolo, le lamine di bronzo, che lo coprivano, per adoprarle al tetto della chiesa di san Pietro in Vaticano2; e Gregorio III., che cominciò il suo governo nell’anno 731., per la stessa chiesa di s. Pietro ottenne dall’esarco Eutichio sei colonne3, come dice anche Anastasio nella di lui vita4. Or se quelli Pontefici furono sì cauti per una cosa sola di non molta importanza; e gli imperatori, e l’esarco esercitando il proprio diritto5, credettero, che da loro avesse a prendersi espressa licenza; chi potrà mai pensare, che un Gregorio il Grande avesse a dar negli eccessi di violata giurisdizione, e impero; e l’imperatore, coll’esarco, a non mostrarsene intesi? Se vogliamo credere, che questo, e quello secondando le supposte viste di zelo cristiano, abbiano accordata a s. Gregorio qualunque


neces-


    le cautele; ma non hanno esempio. La chiesa di s. Bernardo a Termini, che si porta in paragone, perchè fu già parte delle Terme di Diocleziano, era un calidario, di gran lunga più piccolo del Panteon; e come tale non avea quell’occhio alla volta, che vi è stato aperto dopo, nè lo sfogo dell’acqua per terra; e non sappiamo quanto fosse grande la porta, che non era in fuori, come ora, ma dentro. Oltrracciò se fosse stato bagno, perchè Plinio cit. lib. 34. c. 8. sect. 19. §. 6., e lib. 36. cap. 25. sect. 64. avrebbe distinte da esso le Terme dello stesso Agrippa, che pur erano tutto una stessa fabbrica? E finalmente perchè fare tanta magnificenza per un semplice bagno, palestra, o altro, che si voglia pretendere, sino a farvi le tegole indorate? Quelle al contrario ottimamente convenivano a un sì magnifico tempio, come tali furono fatte ai due citati di Roma, e Capitolino.

  1. sect. 119. pag. 120.
  2. Rycquio De Capit. cap.16. pag. 205. dice, che vide un resto di quelle tegole quando a suo tempo fu rinnovata la basilica Vaticana; ma equivoca nel dire, che Papa Onorio le tolse dal tempio di Giove Capitolino. Dietro quel tempio di Roma furono trovati i frammenti in marmo della pianta di Roma, come narra Flaminio Vacca Memorie, n. 1., che ora si vedono per le scale del museo Capitolino. Se n’è parlato qui avanti pag. 55. n. c. Gl’illustrò il Bellori., e ultimamente Piranesi Antich. Rom. Tom. 1. Tav. 2. segg. Questi alla Tav. 6. n. 26. spiega per Templum Diocletiani le lettere.. PLVMDI.., che vi si leggono; con che verrebbe a provarsi, che fosse fatta la pianta dopo i tempi di Diocleziano. Ma egli erra a gran partito, perchè nel luogo della medesima, ove si nominano Settimio Severo, e Antonino, vi è l’aggiunto di NN, che vuol dire nostrorum, per indicare, che chi faceva quel lavoro viveva al tempo di quegl’imperatori, chiamandoli suoi, come bene avvertì Bellori, e non ha bisogno di prove. E perciò quel resto di lettere deve spiegarsi Templum Divi, e forse Julii, o Augusti, Titi, Trajani, i tempj de’ quali secondo Rufo, e Vittore erano nella regione VII.
  3. Vedi qui avanti pag. 99. not. a.
  4. sect. 194. Tom. I. pag. 176.
  5. Gl’imperatori Cristiani nell’abolire la religione de’ Gentili confiscarono tutte le cose appartenenti ad essa, e in ispecie i tempi: al fisco furono anche riservate tutte le fabbriche pubbliche; e sì le une, che le altre gl’imperatori le concedevano poi o ai Papi, o ai privati per farne chiese, o per uso privato. Si vedano i due citati titoli del Codice Teodosiano De operibus publicis, e l’altro De paganis, sacriphiis, & templis.