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s u l l e R o v i n e d i R o m a. | 285 |
condo, assunto al pontificato nell’anno 626., al dire dello
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cordare a questo scrittore, sì perchè tra la legge di Onorio, e quella di Teodosio vi corre il giro di anni 17., nel quale non doveano scordarsi del vero uso di questo edifizio; e sarebbe stata cosa quasi prodigiosa, che quello solo, come tempio, fosse sfuggito al loro zelo, quando avessero atterrati tutti gli altri meno celebri, e meno esposti agli occhi di tutta Roma. Se non eia tempio, sarà stato bagno, come accenna il signor abate Lazeri, che altri hanno pensato, o d’altro uso profano. In questo caso come potevano dubitare i Cristiani che fosse, o non fosse tempio, mentre le altre fabbriche pubbliche, e i bagni, come in ispecie si è già veduto di quei d’Agrippa, erano aperti all’uso pubblico molto dopo la legge di Teodosio il giovane? In conseguenza del falso supposto, che la legge di quello imperatore fosse fatta anche per Roma, il signor abate Lazeri si è immaginati i Cristiani correre furibondi a guisa di Baccanti a distruggere tutti i tempj, cosichè neppur uno ve ne sia rimasto. Abbiamo detto abbastanza per provare, che i Cristiani non hanno fatto verun danno alle fabbriche dei tempj; e abbiamo anche fatto osservare, che molto dopo quella legge ve ne sono restati degl’intierissimi, come il Tempio di Giano tutto di bronzo, nominato pocanzi; il Tempio di Giove Capitolino, che era il principale, di cui parlai nel Tom. iI. pag. 420.; il Tempio di Roma, che nomino qui appresso, tutti restati chiusi dopo Teodosio, e tanti altri, che vede chiunque passeggia per Roma, e li fa chi può almeno leggere le descrizioni di Roma antica, e moderna, diversi de’ quali furono consecrati in chiese da tempo antico. Ma per il suo proposito bastava al signor abate Lazeri l’osservare, che Anastasio, Paolo Diacono, e il Martirologio Romano, su i quali egli stesso si appoggia per determinare la consecrazione, lo dicono creduto tempio dai Cristiani, e da Bonifazio quando lo consecrò. Essi hanno scritto poco dopo questo fatto, e anche per ciò meritano fede come per il resto. Paolo Diacono scrive: Idem (Phoca), Papa Bonifacio petente, jussit in veteri fano, quod Pantheon vocabant, ablatis idolatriæ sordibus, Ecclesiam Beati semper Virginis Mariæ, & omnium Martyrum fieri, ut ubi omnium non Deorum, sed Dæmonum cultus erat, ibi deinceps fieret omnium memoria Sanctorum. Nel Martirologio Romano ai tredici di maggio si legge: Romæ, dedicatio Ecclesiæ Sanctæ Mariæ ad Martyres, quam Beatus Bonifacius Papa quartus, expurgato Deorum omnium veteri fano, quod Pantheon vocabantur, in honorem Beatæ semper Virginis Mariæ, & omnium Martyrum dedicavit tempore Phocæ imperatoris. Anastasio: Eodem tempore (Bonifacius) petiit a Phocate Principe templum, quod appellatur Pantheon. In quo fecit Ecclesiam Sanctæ Mariæ semper Virginis, & omnium Martyrum. Con sì chiara maniera di parlare questi scrittori ci danno la propria idea di tempio, e Panteon, secondo l’interpretazione comune, con troppo sottili altre spiegazioni rigettata dal signor ab. Lazeri, come è chiamato questo edifizio da Plinio lib. 34. cap. 3. sect. 7., lib. 36. c. 5. sect. 4. §. 11., c. 15. sect. 24. §. 1., da Dione Cassio lib. 53. cap. 27. pag. 721. Tom. I., da Eusebio, che citeremo qui appresso, da Capitolino, di cui meglio parleremo anche appresso alla pag. 294., da Sparziano nella vita di Adriano cap. 19., nella iscrizione, che ricorderemo anche appresso, da Ammiano Marcellino Rer. gest. lib. 16. cap. 11., da Macrobio Saturn. lib. 2. c. 14.., e da tutti gli altri scrittori greci, che lo chiamano Panteon: e col dirci Paolo Diacono, e il Martirologio, che il Papa, prima di consecrarlo in chiesa, lo spurgò dalle sordidezze dell’idolatria, fanno vedere, che non solamente egli lo credeva stato tempio de’ Gentili; ma che ve n’erano ancora i segni dentro. Dione non solo lo chiama Panteon, ma da anche la ragione di tal nome, dicendo, che così si chiamava forse perchè i simulacri di Marte, e Venere, che v’erano dentro, rappresentavano più divinità; o come crede più volentieri, per la sua forma convessa, che imitava il cielo: Pantheum quoque fecit. Id sic dicitur fortassis, quod in simulacris Martis & Veneris plurium deorum imagines acciperet; vel ut mihi potius videtur, quod forma convexa fastigiatum, cœli similitudinem offenderet. Plinio cit. lib. 26. c. 15. sect. 24. §. 1. dice, che Agrippa lo dedicò a Giove Vendicatore. Aggiugne poi Dione, che dentro Agrippa vi collocò la statua di Giulio Cesare, e volea collocarvi anche quella d’Augusto, e che quelli non volle; ma si contentò che fosse posta nel portico. E perchè ciò? Certamente perchè non volle stare dentro come divinità, come vi stava, e poteva starvi Giulio Cesare, che dopo morte era stato divinizzato. Altrimenti se la fabbrica fosse stata un bagno, o Augusto non dovea trovar difficoltà per lasciarvi mettere la sua statua, o non dovea permettere, che vi stesse quella di suo padre. Per spacciarlo poi con tanta franchezza un bagno, vorrei sapere come mai poteva accordarsi alla natura del bagno quell’occhio così aperto, quello sfogo dell’acqua piovana, che cadeva da esso nel pavimento, e quella gran porta. Queste non solo non li accordano alle regole di Vitruvio, che lib. 5. cap. 10. vuol le stanze de' bagni più calde, che sia possibile con tutte