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che pur ce lo descrive tanto impegnato a conservare i monumenti dell’arte anche in un tempo di total decadenza. Di questo impegno un altro argomento ne abbiamo nel gravissimo suo cordoglio, descrittoci con qualche esagerazione da Zosimo scrittor gentile1, quando fu costretto a fondere eziandio tante statue deg’idoli d’oro, e d’argento, che erano restati chiusi ne’ tempj gentileschi, e gli ornamenti preziosi degli altri simulacri, per saziare l’ingordigia del suddetto Alarico, il quale portatoli ad attediar la città per la prima volta l’anno 408., le minacciava l’ultimo esterminio se tutto non gli veniva consegnato l’oro, e l’argento, che vi si trovava. I soldati greci, che la difendevano sotto gli ordini di Belisario, non già i Romani stessi, furono quelli, che precipitarono dalla Mole Adriana rimarla intiera alcune statue rotte in pezzi addosso alle truppe di Vitige2; e non altro che una stoica apatia, o insensatezza propriamente da statua, poteva in un secolo di tanta vantata umanità come quello, far pronunziare freddamente al sig. Saint Marc3, che gli amatori delle belle arti avrebbero amato meglio di veder preso il castello, che di soffrir la perdita di sì bei monumenti: quali che la conservazione d’un Fauno, che ubbriaco sembra russare, di qualche cavallo, o altre poche statue comunque eccellenti, avesse dovuto preferirsi alla salvezza di tante migliaja di cittadini, delle ricchezze, e de’ più preziosi monumenti dell’arte in oro, e argento, e forse degli altri ancora, ai quali que’ Barbari minacciavano guaito, e inevitabile rovina. Le fabbriche non le avranno certamente


rovi-


    quell’attentato, e che in tanta confusione, e tumulto non ne fu ricercato: donde può arguirsi, che se v’erano rimasti Gentili in Roma, essi fossero ben pochi, e stessero con dei riguardi, e forse occulti: e ben pochi erano generalmente, come abbiamo dall’imperator Teodosio giuniore nella legge 22. Cod. Theod, lib. 16. tit. 10. De pagan. sacrif. & templ. fatta nell’anno 423., ove dice che crede non esservene più: Paganos, qui super sunt, quamquam jam nullos esse credamus.

  1. lib. 5. cap. 41. pag. 625.
  2. Vedi Tom. iI. pag. 420.
  3. Abregé de l’histoire d’Italie, all’anno 557. Tom. I. pag. 95.