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276 | D i s s e r t a z i o n e |
cis sic a Romanis dicto, quod in eo sit Pacis templum, olim de coelo taclum) vetus quidam est fons, cui bos æneus insistit, Phidiæ, credo, atheniensis, vel Lysippi opus. Nam facta utriusque manu statua visuntur multa eo loci: ubi & alterum Phidiæ opus extat, testante authorem inscriptione statuæ: ibidem est Myronis bucula. Nimirum prisci Romani id diligenter curarunt, ut excellentissima quaque ornamenta Græcia Roma possideret; e che intiero v’era il tempio di Giano tutto di bronzo, chiuso per altro, con entro una statua di quel nume, pure in bronzo, alta cinque cubiti1. Che intiere vi restassero delle fabbriche, e fino a quelli ultimi secoli, lo capiamo anche al presente dal Panteon, dal Sepolcro di Cecilia Metella, dalla Piramide di Cajo Cestio, dall’Anfiteatro Flavio, dal così detto Tempio di Giano Quadrifronte vicino a s. Giorgio in Velabro, dalle Colonne di Trajano, e di Marc’Aurelio, dall’Arco di Settimio Severo, e di Costantino, dall’Obelisco del Vaticano, dai Cavalli di Marc’Aurelio, e del Quirinale, ed altri monumenti, de’ quali parleremo appresso, come vedremo anche delle terme: e per ultimo si può ricordare la profezia di s. Benedetto in occasione di Totila, verificata come attesta il lodato s. Gregorio il Grande2, il quale scriveva intorno al fine del secolo VI.; cioè, che Roma non sarebbe stata rovinata dai Barbari, ma da altre cause, che diremo.
Se i Barbari non hanno bruciate, atterrate, rovinate le fabbriche, molto meno potremo dire, che abbiano fatti i buchi, che al presente si veggono negli avanzi del detto Anfiteatro Flavio, del creduto Tempio di Giano, e in altri monumenti, come si crede da tanti, e come mostra di credere anche monsignor Suaresio nella Dissertazione fatta appunto su quei buchi3. E' una ben frivola ragione il pretendere, che
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