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s u l l e   R o v i n e   d i   R o m a. 271

risce Cedreno1. Altronde sappiamo dagli autori, che scrissero dopo quel disastro, che le più belle cose di Roma erano ancora nel loro splendore, e moltissime statue al loro primo luogo. Sidonio Apollinare nel Carmen 23. ad Consentinum scritto l’anno 466., come ivi nota il P. Sirmondo2, ce lo attesta delle terme d’Agrippa, di Nerone, e di Diocleziano:

Hinc ad balnea non Neroniana,
Nec quæ Agrippa dedit, vel ille cujus
Bustum Dalmatica vident Salonæ:
Ad thermas tamen ire sed libebat
Privato bene præbitas pudori.

Della Mole Adriana ne fa fede Procopio3. E che non dice Cassiodoro, il quale scrivea nel principio del secolo seguente? Narra4, che Roma sola conteneva le più grandi maraviglie del mondo, e superava l’immaginazione, principalmente per li grandi edifizj ornati di stupende colonne, e di preziosi metalli; e per la copiosissima quantità di statue in bronzo di uomini, di cavalli, e di altri animali, collocate nelle strade, nelle piazze, e in ogni luogo:

Romana fabricæ decus convenit perituri habere custodem; ut illa mirabilis sylva moenium diligentia subveniente servetur, & moderna, facies operis affabris dispositionibus construatur. Hoc enim studio largitas nostra, concedit, ut & facta veterum exclusis defectibus innovemus, & nova vetustatis gloria, vestiamus. Proinde illum illustris magnitudo tua romanis artibus ab illa indictione datum architectum esse cognoscat. Et quia justis commodis studia constat artium nutrienda, ad timi volumus pertinere qui e quid decessores ejus constat rationabiliter consecutos. Videbit profecto meliora, quam legit: pulchriora, quam cogitare potuit; statuas il-


las


  1. Compend. hist. Tom. I. pag. 346. princ.
  2. vers. 69. segg.
  3. Vedi qui avanti Tom. iI. p. 378. n. d.
  4. Variar. lib. 7. form. 15.