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268 | D i s s e r t a z i o n e |
raboschi1, più umano ancora, par che voglia assolverli affatto dall’avervi apportata alcuna rovina, e distruzione; credendo, che quelli, i quali ne pensano in contrario, non possano addurre il testimonio d’alcun autorevole antico scrittore. Più a lungo vaglia la questione il ch. Bandini2, in parte difendendo i Barbari con ragione; e in parte accusandoli a torto. Così avviene per lo più nelle controversie, che poco premendo forse la nuda verità, si dia negli eccedi o per una parte, o per l’altra. Non può negarsi che i Barbari abbiano recato danno anche alle fabbriche di quella città. Lo portava di conseguenza il male della guerra, come bene osservava il grande Agostino3: Quidquid vastationis, trucidationis, deprædationis, concremationis, afflictionis in ista recentissima romana, clade commissum est, fecit hoc consuetudo bellorum. E quando mai si poteva sperare, che gente barbara, senza educazione, senza legge di civiltà, scatenatasi come un turbine precipitoso, e come uno sciame d’api tumultuoso dall’orrido delle sue grotte, e capanne del settentrione per depredare il giardino dell’Europa, avesse poi a rispettare le fabbriche, e le statue, contentatasi di ammirarle; e non tentare in ogni modo la presa della città e col ferro, e col fuoco, se non si arrendevano gli abitanti? Quello dico non può negarsi, che sia stato praticato dai Barbari in Roma. Può ben provarsi, che non v’abbiano portata quella devastazione, che crede il volgo.
Il primo, che si rendesse ostilmente padrone di Roma dopo trasferita l’imperial sede a Costantinopoli, fu Alarico re de’ Goti nell’anno 409. dell’era volgare, o 410. più probabilmente secondo altri storici, che reca il Muratori4. Non si dubita, che vi facesse un grandissimo bottino d’oro, e
d’ar- |
- ↑ Storia della letteratura ital. Tom. iiI. lib. I. cap. VII. §. VII.
- ↑ Dell’Obel. di Ces. Aug. cap. 16.
- ↑ De Civ. Dei, lib. 1. cap. 7.
- ↑ Annali d’Italia, anno 409. Tom. iiI. par. 1. pag. 44.