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254 | L e t t e r e |
dinale mio padrone da Cagliari, e fatto in quel tempo, quando credo, che facesse mestieri mettere alle volte sotto le figure: questo è un cavallo: quello è un somarello. In quel tempo non si usava di far magazzeni di munizione, e di viveri per le armate; onde il povero soldato strascinava tutto dietro di sè, o lo spingeva avanti di sè con un carretto a due rote, come usano i facchini in Germania. Sopra questo carretto stava un cestone, in cui si metteva la robba. Arrivata che era la truppa al luogo della sua destinazione, o finiti che erano i viveri, che portava seco, cosa faceva cialcun soldato del suo carretto? Se lo piantava dietro alle spalle in un anello fermato alla corazza della schiena in maniera, che le due rote con la sala gli arrivavano sopra la testa. E il cestone? Se lo poneva in testa, appoggiato, e fissato su due corna, colle quali è guernito l’elmo, onde pare un berrettone piatto, e le corna spuntano in fuori, e in su, come denti d’elefanti. Così appunto armato, e caricato andava il soldato sardo in battaglia, veggendosene nella sinistra io scudo, e l’arco, e le frecce nella destra. La spada curta gli pende al collo, e attraverso sopra il petto. I piedi sono senza calzari, e le gambe con gambali aperti davanti, e che coprono la polpa. Le spalle sono riparate con certi rivoltini, come appunto li portano i tamburini nostri. La figura è di due palmi, e due once d’altezza, ec.1.
A r t i c o l o XIV.
Torniamo colla pace a ripigliare la gazzetta antiquaria2. Vi diedi parte della villeggiatura mia a Ostia col sig. card.
Spi- |