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dammo jeri sera a vederla nella villa Borghese, dove sta chiusa in un fenile. Io riconobbi nella testa l’aria, e ’l carattere della gente Flavia; e vi trovai la rassomiglianza colle teste di Domiziano. Il torso della statua è d’ottima maniera, ma corroso, e coperto d’un sal di nitro a tal segno, che ’l marmo si stritola colle dita. Vi si scuoprono vestigi aperti di violenza, cioè striscie profonde fatte col ferro, e in croce. La testa è più conservata. Il torso, essendosi trovato quasi a fior di terreno, e la testa più in giù nella ma-


ceria


    masse un altro diverso. Può ben dirsi, che nè l’uno, nè l’altro servisse per adunanze poetiche, o letterarie; ma che con esso fossero quasi con ispecial culto onorate le Muse, quali presidi delle scienze, che molto giovavano per conseguir magistrature, come pensa Simmaco Epist. lib. 1. epist. 21., parlando appunto del boschetto fatto da Numa: sed enim propter eas Camænarum religio sacro fonti advertitur; quia iter ad capessendos magistratus sæpe literis promovetur. Alcune osservazioni grammaticali potrebbero farsi su questa iscrizione, che noi per brevità tralasceremo, contentandoci di accennare, che il più volte lodato sig. abate Ennio Quirino Visconti, lume, ed ornamento dell’antiquaria a’ nostri giorni, vorrebbe che per βύβλους non s’intendessero i volumi, o libri, come tutti d’accordo hanno spiegato i traduttori di essa; ma piuttosto si traducesse per bibli, ossiano piante del papiro, che fossero state poste insieme ai platani in quel boschetto per simbolo delle scienze, alle quali serviva il papiro per formarsene i libri, come fu detto qui avanti pag. 188. Per sostenere questa opinione potrei dire primieramente, che secondo l’osservazione di Martorelli De reg. theca calam. Tom. I. parerg. cap. 1. pag. 236. per dir libro si scriveva βίβλος, all’opposto di βύβλος, che voleva dir carta non ancora scritta, ossia papiro semplice; e in secondo luogo, che non è improbabile che il biblo, o papiro fosse ivi coltivato per una rarità; mentre abbiamo da una lettera del cavalier Pindemonte inserita nell’Antologia Romana Tomo VI. anno 1779. pag. 178., che sulle rive del fiume Anapo in Sicilia vi cresce una specie di papiro, che fuor dell’esser alquanto più piccolo, si pretende simile in tutto a quello l’Egitto, e per papiro potrebbe intendere la parola βύβλις, che si legge nelle Tavole Eracleensi, come motiva Mazochi nella illustrazione di esse pag. 199., benchè poi con miglior fondamento sostenga, che debba spiegarsi per una specie d’uva detta biblica. Contuttociò, io non mi dipartirei dalla spiegazione comune di quella parola nella nostra iscrizione; sì perchè quest’altra mi pare troppo ricercata, e si ancora perchè gli antichi non ci hanno lasciata memoria di aver conosciuto altro papiro, che l’egizio, e quello, che nasceva nella Siria, e sulle rive dell’Eufrate vicino a Babilonia, al dir di Plinio lib. 13. cap. 11. sect. 22. e che questo sia mai stato traspiantato in Grecia, in Italia, o in Roma. Nè è probabile, che come pianta palustre avesse allignato in un semplice boschetto di platani, destinato per farvi de’ trattenimenti. Per l’ortografia della parola, la regola, che vuol dare Martorelli, non è vera; poichè si trova la parola biblo scritta promiscuamente in tutti e due i sensi, come già notò Enrico Stefano nel suo lessico greco, e Mazochi loc. cit. pag. 200., e potrebbero darsene prove innumerabili; e fra le altre, Platone in Polit. op. Tom. iI. p. 288. E., e Polluce lib. 7. cap. 33. segm. 209., e segm. 210. ove porta l’autorità d’Erodoto, scrivono βίβλοι bibli per libri non scritti, e per semplice papiro. Gli altri luoghi di Polluce, che cita Martorelli per prova della sua asserzione, non parlano del papiro, ma della vite biblina, di cui tratta a lungo Mazochi al primo luogo citato; e di un’altra specie di papiro, o scirpo, o canape, che fosse, da farne corde. Ammettendo poi anche a rigore la pretesa regola di Martorelli, si sa che nelle iscrizioni spesso si trova una lettera per un’altra, principalmente quando hanno quasi uno stesso suono, come abbiamo veduto qui avanti pag. 237. n. a.; e volendo supporre, che qui sia scritta bene, l’intenderemo nel suo giusto senso di semplici carte, o papiri non scritti, figurati su qualche cosa di quel boschetto per un simbolo, o insegna.