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e a Napoli. Tutti sono raccolti nel Regno1, e la maggior parte è stata trovata a Nola. Frattanto scriverò a Parigi all’incisore del de Wille mio amico per farmi copiare esattamente la scrittura, ec.2.




A r t i c o l o   X


Notizie sopra altre antichità di Pompeja, di Stabbia,
di Pesto, e di Caserta.


Quest’oggi vi voglio parlare di altri luoghi antichi, che non sono l’Ercolano; ma che pur sono ora apportatori di bei monumenti al pari di quello. Veniamo prima a Pom-


peja


    patet ex nonnullis eorum monumentis, quæ græcis inscriptionibus donantur, quæque reperta sunt præsertim inter Campanos, qui olim Etruscis adnumerabantur, quique postea. græcis finitimi, qui eam Italiæ partem dein incoluerunt, quæ a Tarento ufque ad Cumas, vel ut Plinio (Hist. nat. lib. 3. c. 10. sect. 15.) placet, a Locris Italiæ fronte ad Tarentum usque protenditur, eorum litteras, & idioma facile arripuerant. Ecco, come opere etrusche possono avere greche iscrizioni. [Si legga ciò, che noi diremo qui appresso nella spiegazione delle Tavole in rame al numero 19. del Tomo I., e al numero iI. di questo Tomo.

  1. Alcuni vasi etruschi, che sono nella biblioteca Vaticana, potranno provenire dal regno di Napoli, ma la maggior parte sicuramente proviene dalla Toscana; giacchè un numero grande di questi, tutti trovati in Toscana, fu donato al card. Gualtieri seniore da monsig. Bargagli patrizio senese, vescovo di Chiusi, e zio materno del ch. monsig. Guarnacci; e poscia tutti questi passarono nella biblioteca Vaticana. [ Si veda qui avanti Tomo I. pag. 218. not. a.
  2. Questa nella Tavola in rame, che ne dà Caylus, è quale la riporta qui il nostro Autore. Che poi non sia esatta perfettamente, Winkelmann poteva meglio provarlo colla iscrizione del vaso dato da Mazochi, se l’avesse riportata quale si legge presso lo stesso; poichè è la medesima di quella del vaso di Caylus, essendovi scritte le stesse due parole, e ripetutevi più volte: di maniera che, se Opoas fosse il nome dell’artefice, esso potrebbe credersi il fabbricatore d’amendue i vasi. Un’altra riflessione si può fare per confermare il sentimento di Winkelmann, che il vaso dato da Caylus sia greco: facendo cioè un paragone della sua forma con quella di un altro vaso trovato, per quanto si dice, in Grecia, pubblicato in Napoli nel 1752. con una corta spiegazione latina dello stesso Mazochi. È nella forma similissimo a quello, ed ha intorno all’orlo per di fuori la iscrizione: ΚΙΛΟΣ ΚΩΝΕΙΟΥ ΠΕΡΙ ΣΟΚΡΑΤΗΝ, che si spiega: il succo della cicuta per Socrate; quasiche volesse dire: a Socrate è stata data a bere la cicuta: tu bevi pur lietamente con quello vaso, o bicchiere, che non vi è da temere di esser avvelenato: e ciò come per una di quelle tante acclamazioni, che solevano mettersi anche intorno ai bicchieri di vetro, delle quali può vedersi il Buonarroti Osserv. sopra alc. framm. ec. Tav. 15. pag. 100., Tav. 29. pag. 208. Essendo pertanto simili questi due vasi nella forma, colla quale sono simili tanti altri vasi dati da Caylus fra le antichità etrusche, può credersi che abbiano tutti servito ad uno stesso uso di bere, e che siano opera di una stessa nazione, benché forse di tempo diverso, argomentandolo dalla forma delle lettere di questo secondo vaso, che sono molto migliori, e di forma più moderna. La prima, parola dovrebbe essere scritta colla X, in vece del K: errore, che soleva commettersi nelle iscrizioni, come nota lo stesso Mazochi.