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di   W i n k e l m a n n. 233

coprire una cicatrice1, ed Ercolano fu sotterrato prima. Ora appunto mi capita il primo Tomo di Virgilio fatto intagliare tutto in rame dal signor Justice ad imitazione dell’Orazio di Londra: ivi è rappresentata ad uso di basso rilievo la morte di Cesare, il quale comparisce anche qui colla barba. E’ cosa, che fa venire la nausea, vedere Cesare gettato sul pavimento, e dare un calcio contro la pancia di Bruto, o di Cassio. Questa impresa, fatta per mani inguantate anche in stanza, è eseguita con quello stesso poco gusto, e intendimento, che quella d’Orazio. L’altra figura nello stesso rame è presa d’idea al museo di Portici (giacchè non è permesso a nessuno di cavar fuori neppure un toccalapis), ed è un Fauno, che suona la cetera, il quale è fatto propriamente al genio francese, cioè outrè, per paura di non farsi sentire, o capire. Vogliono un Fauno piucchè Fauno, ed un disegno così caricato lo chiamano grandioso. Questo basso rilievo d’argento è quadrato, non tondo; e il Fauno non sta così col capo chino, come è rappresentato: ma per farvene un’idea per un altro ideato, figuratevi quel suonatore d’Aspendo, di cui parla Cicerone nelle Verrine2, e in cui si vedeva, che non suonava, che per sè solo, così invaghito, e rapito dall’armonia sua, che non si curava d’essere applaudito da altri, volendo godere solo fra sè stesso3. Qui non sarebbe ora fuori di pro-

Tom. III. G g posi-


  1. Sparziano nella di lui vita, cap. 26., Dione Cassio lib. 68. c. 16. Tom. iI. p. 1132.
  2. Act. 2. lib. 1. cap. 20.
  3. Cicerone non ne parla in questo senso; ma bensì, come ivi nota Asconio, che quel suonatore suonasse la cetra in un modo diverso dagli altri, cioè che tenesse il plettro colla mano sinistra, e colle dita della stessa mano toccasse le corde, suonando così tutto per di sotto, e con una sola mano; quando gli altri adopravano amendue le mani: la mano destra col plettro per di sopra, e l’altra sotto. Per tal sua maestria quel suonatore meritò una statua in Aspendo sua patria, che non avrebbe meritato per la vanità, che dice Winkelmann. Aspendum, scrive Cicerone, vetus oppidum, & nobili in Pamphylia ssitis esse, plenissimum signorum optimorum. Non dicam illinc hoc signum ablatum esse, & illud: hoc dico, nullum te Aspendi signum, Verres, reliquisse: omnia ex fanis, ex locis publicis, palam, spectantibus omnibus, plaustris evccta, asportataque esse. Atque etiam Aspendium illum citharistam, de quo sæpe audistis id, quod est græcis hominibus in proverbio, quem omnia intus canere dicebant, suslulit, & in intimis suis ædibus posuit; ut etiam illum ipsum artificio suo superasse videatur.